domenica 7 maggio 2017

Accabbai – un rito

di e con Alessandra Asuni
collaborazione di Marina Rippa, Massimo Staich
una produzione f.pl femminile plurale

Come partecipare
Max 12 spettatori a turno, prenotazione obbligatoria tramite sms al numero 3496468395

Orari
19.00 – 20.15 – 21.15

Descrizione
Una donna vive nascosta in un luogo abbandonato come la sua esistenza,vive conservando memoria di suoni e gesti che hanno accompagnato la sua vita. Le sue arti non sono più necessarie alla comunità.
Sa femmina accabbadora come tramite per poter raccontare e ricordare la forza di una terra ancestrale, forza che ancor oggi si rivela a chi desidera incontrarla. La figura dell’accabbadora fa parte di una religiosità primordiale e precristiana, che affonda le proprie radici in superstizioni e miti atavici,difficilmente comprensibile ai nostri tempi, ma perfettamente integrata nella concezione della morte propria degli antenati sardi. L’ultima femmina accabbadora,che aiutò a morire un uomo di settanta anni era l’ ostetrica del paese. La donna che aiutava a venire al mondo era anche quella che chiudeva una vita divenuta insopportabile.

Lo spettacolo ha vinto nel 2013 il premio Landieri Nastro Dream Team con la seguente motivazione: Per aver riscoperto tradizioni antiche; per aver fatto vivere agli spettatori la suggestione di un rito; perché le donne sono al centro di questo progetto che merita di essere replicato continuamente.

Accabbai è una produzione f.pl. www.effepielle.wordpress.com

Accabbai è il primo rito della Trilogia dei riti.
Dopo Accabbai – un rito e Matrici – un rito si chiude la trilogia con Sabi-un rito.
L’ artista sarda Alessandra Asuni esplora il ciclo di “morte -vita -rinascita” attraverso antiche pratiche e mestieri della sua terra d’origine.
Un percorso che richiama come forma la performance teatrale rituale in cui nel corso della ‘esecuzione’ si può generare sempre qualcosa di nuovo. Ognuno dei riti contiene l’altro, sono nella stessa misAccollettiva assieme.

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/// All’Asilo i concerti, gli spettacoli, le proiezioni, gli incontri sono ad ingresso libero. È gradito un contributo a piacere che serve ad abbattere le spese minime e a dotare gli spazi dei mezzi di produzione necessari ai lavoratori dello spettacolo, dell’arte e della cultura per portare avanti la sperimentazione politica, giuridica e culturale avviata all’Asilo.

Approfondimenti
Il “fare teatro” della Asuni è qualcosa che s’imparenta con l’antropologia, che accarezza precordi ancestrali e che si sviluppa in forme e suggestioni più vissute che semplicemente riprodotte sulla scena; anzi, la scena stessa tracima dallo spazio convenzionale per avvolgere l’intorno: la quarta parete non s’abbatte, è annullata a priori. Michele di Donato.

Un rito antico e atavico, la rivisitazione di memorie, gesti e parole che si vanno ogni giorno perdendo nell’inconsistenza del vivere contemporaneo. Una drammaturgia che viene fatta esperire direttamente agli spettatori attraverso una performance totale, che dà vita a uno scambio emozionale e energetico tra chi recita e chi assiste. «Ogni messa in scena è diversa dalle altre, dipende da quello che gli spettatori mi trasmettono e come reagiscono al rito», racconta Alessandra Asuni. Accabai è una pausa, una parentesi di struggente bellezza, un’immersione, temporanea ma totale, in una dimensione “altra”, un ripristino dei val
ori che realmente contano, incluso quello della morte. Francesca Saturnino

Matrici (la vita) e Accabbai (la morte) dicono della capacità di confrontarsi coi temi assoluti, partendo dalla carne di una donna, da pochi oggetti simbolici, dalla ristrettezza di uno spazio che va condiviso e convissuto. Performance che inducono alla partecipazione il pubblico, rendendolo – ad un tempo – testimone ed agente attivo, confine dell’atto teatrale (perimetro umano che circonda e protegge ciò che sta avvenendo) e suo elemento imprescindibile. Una veste nera, i pantaloni di stoffa invernale, il pane, il vino, il salame, l’erba bruciata al calore di una fiammella, lo scroscio dell’acqua versata sul corpo, una liturgia di segni manuali, la sonorità battente del verbo (Accabbai) dicono della materia con cui viene impastato questo teatro rituale, che lavora con ciò che la terra produce, con quello che contraddistingue l’identità atavica o storicizzata di un popolo, di una comunità, di una lunga dinastia regionale. Fondamentale la plurisensorialità del lavoro, per cui olfatto, tatto, gusto, vista e udito vengono contemporaneamente stimolati producendo una partecipazione assoluta, un coinvolgimento che rifiuta e che annulla la statica frontalità del teatro. Matrici – col suo tavolo operatorio che diventa luogo di ragionamento e d’impasto – è invece un atto collettivo, una produzione che chiama a sé chi vi prende parte: acqua, sale, farina, lievito madre vengono mescolati mentre si mescolano – nel contempo – i racconti d’ognuno: ricordi lontani, vecchie dicerie, nomi che tornano, mia madre mi disse, ho saputo, successe che, era un giorno d’estate.” Alessandro Toppi.

L’ immagine dell’ evento a cura di Centottantanove.