All’Asilo si sogna tranquilli, grazie

Lunedì 17 febbraio 2020. Nell’edizione locale il Mattino pubblica questo articolo:

Ci abbiamo messo un paio di giorni per metabolizzare queste parole ed elaborare una risposta.

Siamo sinceri: siamo rimasti molto colpiti di aver trovato spazio sulla prima pagina del Mattino dopo anni di scetticismo e indifferenza.  Ma se da una parte l’articolo di Piero Sorrentino riconosce la straordinaria energia dei beni comuni napoletani – di cui l’Asilo fa parte – dall’altra attacca la nostra esperienza chiamando in causa una delle centinaia di iniziative che qui si svolgono ogni anno, con argomenti poco approfonditi che sanno di tesi pregiudiziali. In questo modo l’articolo si presta – forse inconsapevolmente – a essere strumentalizzato dagli interessi della parte peggiore della città, quella che mira alla svendita del patrimonio pubblico, nel centro storico e nella città tutta, per farne un terreno di speculazione, invece che un luogo aperto di scambio e produzione culturale.

Ma proviamo a non farci suggestionare dai cattivi pensieri e a replicare con ordine.

1) La “sponsorizzazione invadente” per l’iniziativa al centro dello “scandalo” è costata 26 euro – a chi l’ha proposta, che ha deciso in autonomia di sponsorizzarla – convocare le ombre del “capitalismo della sorveglianza” ci pare quantomeno fuori luogo. In linea di massima l’Asilo comunica senza sponsorizzazioni sui social e con metodi sperimentali collettivi. Certo, abbiamo scelto di essere su Facebook, perché i grandi giornali purtroppo non parlano delle decine di attività che svolgiamo ogni settimana, migliaia ogni anno, con centinaia di migliaia di fruitori per una programmazione a totale costo zero.

2) Ebbene sì, all’Asilo si ospitano anche dibattiti con dei “professionisti”: ci dispiace se questo tradisce gli stereotipi che si sono costruiti intorno ai centri sociali e culturali negli anni, eppure ci teniamo a ribadire che in luoghi simili lavorano insieme competenze e professionalità differenti: la chiamiamo “interdipendenza”.
Certo lo facciamo in modo diverso: alle lezioni ex cathedra preferiamo assemblee e workshop pubblici dove prendono parola più punti di vista, che hanno in comune la stessa situazione di sfruttamento. Il post di una delle organizzatrici è chiaro, a questo proposito: “Parleremo in vostra compagnia di come si realizza la produzione di un film (…). Parleremo di contratti, diritti di opzione, siae, tax credit e altre sciagure a cui si deve far fronte quando si vuole fare un film”.

3) Questo incontro, pubblico e gratuito, può piacere o non piacere, ma  qui non si tratta di giustificare un’iniziativa  del “collettivo” della Balena o dell’Asilo… semplicemente perché non lo è. L’Asilo è uno spazio aperto alle attività che vengono proposte da chiunque ne condivida i principi costitutivi, con l’esclusione sola e radicale di ogni forma di razzismo, sessismo e fascismo. Questa proposta, come tutte le altre, è stata portata in assemblea, discussa, organizzata da chi l’aveva in mente con la messa a disposizione e condivisione dei mezzi di produzione dell’Asilo. Come sempre.

4) L’Asilo è un bene comune, ciò significa che non c’è un direttivo o una commissione che decide e accetta proposte, non c’è una direzione artistica che seleziona un’attività piuttosto che un’altra. Ci sono invece, ogni settimana, momenti di incontro pubblici e aperti, dove si proiettano su uno schermo gli ordini del giorno, le proposte, e il calendario delle attività, invitando i presenti a pensare insieme come organizzarle. Si tratta di mutualismo e autogoverno, praticati da una comunità aperta e potenzialmente illimitata. Non è teoria, ma una pratica che avviene realmente da 8 anni.

5)  Il lavoro degli attivisti dell’Asilo è volontario e le iniziative sono gratuite, aperte a una sottoscrizione che è a libera scelta. E laddove sono intervenute altre forme di finanziamento, esse sono state utilizzate per l’acquisto o il ripristino delle strumentazioni necessarie a dare corpo alla pratica dell’autocostruzione propria dell’Asilo: è il caso del bando Culturability, vinto dall’Asilo per un progetto di allestimento di una sala danza, o del crowdfunding lanciato per costruire la sala cinema nel 2017.

In conclusione, la domanda: “l’Asilo dovrebbe fare di più per proporsi come casa della cultura pubblica e strutturata della città?” Innanzitutto va premesso che ogni limite dell’esperienza va discusso in prima persona, in quanto parte attiva della comunità, da chi li rileva: parliamo di un Bene comune, non di un istituto affidato a qualcuno. Poi, gli spazi sono saturi di attività artistiche di alto valore culturale e sociale, che altrove non troverebbero spazio, ma crediamo che il modo sia, per esempio, diffondere questa forma organizzativa in maniera più estesa e approfondita. In città ci sono altri meravigliosi beni comuni e solo nelle ultime settimane siamo stati/e al convegno ANCI a Torino, a Milano, Rovereto, Saronno, agli incontri nazionali della rete dei beni comuni, alla quale aderiscono decine di esperienze in tutto il paese, a partire da un appello lanciato un anno fa proprio all’Asilo. Qualche giorno fa abbiamo ospitato la delegazione del governo croato che voleva conoscere le “best practices” dell’uso civico e collettivo urbano de l’Asilo, già vincitrice del premio europeo Urbact. L’Asilo è stato mappato da Avanzi nella della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile. Ad aprile e maggio ospiteremo due iniziative europee: il Commons Camp e un evento del progetto Cultural and Creative Spaces and Cities, interessati a conoscere proprio le esperienze che possono nascere dall’autorganizzazione degli e delle abitanti.

La città di Napoli è protagonista di questa scena, e allora quello che dovremmo fare di più è imparare a valorizzare le cose importanti che nascono in questa terra, portandole come un successo di tutte e tutti, e non farci logorare dal nostro istinto a denigrare ciò che è anche nostro.