Pubblichiamo in versione integrale il nostro intervento sull’occupazione dell’Ex Asilo Filangieri di Napoli apparso su il manifesto del 14 giugno 2012. (http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120614/manip2pg/15/manip2pz/324295/)

Quando il Bene Comune ostacola il Fare Comune
Considerazioni sull’occupazione dell’Ex Asilo Filangieri di Napoli

Interpretando la spinta di liberazione fuoriuscita dai movimenti di difesa dell’acqua pubblica e le successive mobilitazioni per l’affermazione della Cultura come Bene Comune (occupazione del teatro Valle a Roma) la città di Napoli, da alcuni mesi, sta vivendo una fase di mobilitazione fertile. Qualcuno ha parlato – forse a sproposito – di “Rivoluzione napoletana”, altri parlano di processi di trasformazione che hanno origine nella presa di coscienza di lavoratori e cittadini rispetto alla centralità che la cultura e gli spazi ad essa dedicati, devono assumere in prospettiva di una trasformazione radicale degli equilibri e dei poteri che hanno, fino ad oggi, determinato scelte e politiche culturali.
Il 2 marzo 2012, La Balena (collettivo di lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale) con il supporto di altri collettivi territoriali, il Nuovo Cinema Palazzo e il teatro Valle di Roma, il teatro Coppola di Catania e i lavoratori dell’arte di Milano (che nelle ultime settimane hanno dato via al soggetto multiplo Macao) hanno occupato la struttura dell’Ex Asilo Filangieri, allora sede della Fondazione Forum Universale delle Culture 2013, creatura dell’ex assessore alla cultura Pd Nicola Oddati, rimasta per circa tre anni un porto delle nebbie attraversato da pratiche e scambi clientelari che hanno caratterizzato l’assoluta insipienza del progetto dell’ennesimo grande evento senz’anima. La struttura (un ex orfanotrofio disciplinare della città sita nel cuore del centro storico) è stata rinnovata totalmente affrontando costi significativi (svariati milioni di Euro) e rimasta del tutto inutilizzata e silente in una città ammutolita dalla gestione bassoliniana della cultura, in cui l’arte è stata pensata e utilizzata come strumento di costruzione del consenso e non come coscienza critica e creativa del territorio.
La scelta di occupare l’ex-Asilo invece che una delle tante sottostrutture teatrali presenti in città, è maturata all’interno del collettivo proprio per sottolineare l’eterogeneità e la molteplicità della nuova compagine politica che soggiace alla produzione culturale ovvero l’intima commistione tra saperi e pratiche dello spettacolo e quelli dell’ambito della produzione immateriale. Insomma, l’occupazione ha voluto avviare un processo di ricomposizione e proposta politica che non dovesse rivendicare favori o presenze ma piuttosto affermare un Fare di tipo nuovo basato sulla prossimità, la cooperazione e il mutualismo del nuovo millennio. La Balena ha provato ad alzare il tiro e mettere in crisi e in discussione l’insieme del funzionamento del sistema delle politiche culturali colonizzato da rapporti di potere stucchevoli alimentati da logiche di cooptazione personali e partitiche. (Si tenga ben presente che Napoli è uno dei maggiori centri di produzione teatrale nazionale nonché sede dell’unico mega Festival che proprio in questi giorni vede la sua quinta edizione diretta dal discusso direttore Luca De Fusco – anche direttore dello stabile napoletano e deus ex machina di nomine e produzioni etc.).
Il principio che ha mosso il collettivo la Balena è stato quello di privilegiare il valore di uso di uno spazio per avviare un processo di Fare Comune, invece che insistere sul valore di scambio che ha sempre caratterizzato i rapporti tra istituzioni e produzione culturale, attuando un processo radicale di cambiamento e non di normativizzazione di istanze che, di per sé, sono fluide e in continuo divenire. I luoghi che i movimenti in tutta Italia hanno saputo attraversare sono stati rivalutati e risignificati in maniera autonoma e distante dall’attività amministrativa e istituzionale che senza troppe differenze dimostra una preoccupante carenza di immaginazione e prospettiva politica. Abbiamo individuato nell’Uso Civico di uno spazio la possibilità di tradurre in pratica le istanze della collettività che ha avuto il coraggio di osare un’emersione, o forse l’affermazione di un percorso orientato verso una modalità di produzione indipendente e autogovernata.

Fin dal principio, La Balena, ha instaurato una relazione con le istituzioni,in particolare con l’Assessorato al Bene Comune, segnata da una legittima distanza e autonomia, non escludendo, però, la possibilità di dialogo che non prescindesse dal reciproco riconoscimento. Più che un Bene Comune si è cercato di avviare un Fare Comune, non la costruzione di comunità ma la territorializzazione di un collettivo in continua trasformazione basato sulla sintesi di istanze e bisogni di un Quinto Stato emergente in tutto il paese. Il pilastro è stato la responsabilizzazione dei cittadini e dei lavoratori (dello spettacolo e dell’immateriale) nell’affermazione del proprio ruolo, dignità, capacità e creatività. Il rifiuto della personalizzazione di istanze collettive è stato il collante che ha saputo mantenere insieme individui affini ma di provenienza assai differenziata.
La cultura è un Fare Comune, un’attitudine che  in prospettiva elimina ogni costruzione di consenso e contribuisce alla riflessione e alla crescita complessiva del corpo sociale del paese. Allo stesso tempo è anche il luogo di lavoro e produzione di un insieme di lavoratori atipici, subordinati, ricattati e senza possibilità di organizzazione e sabotaggio e sciopero. La qualità produttiva deve essere staccata dai rapporti di forza salariali, dalle concessioni di spazi, dall’amministrazione discrezionale di privilegi.
Il Comune di Napoli, di recente, ha prodotto una delibera che, in termini contraddittori, prova a riconoscere lo spazio dell’Asilo Filangieri come Bene Comune, ma in realtà nega un agire comune e vincola l’uso dello spazio ad un rapporto di richiesta e concessione, confermando una retorica dei Beni Comuni priva di legittimità sociale. L’amministrazione De Magistris dovrebbe provare ad attestarsi su una posizione di distanza e riconoscimento di autonomia senza tentare affiliazioni strumentali. Sarebbe opportuno una cessione di sovranità, far sì che il respiro creativo e radicale di una generazione trovi vie di fuga utili a chi verrà in seguito, riconoscere i limiti strutturali delle moderne istituzioni democratiche, senza provare a contrabbandare per proprio un processo che ha radici altrove. Imporre norme che ingabbiano creatività e desiderio è un ritorno sgangherato di un amministrare lontano dalla città. Ma forse, come al solito, chi comanda avrà la meglio. Chi vivrà vedrà.

La Balena – Collettivo di lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale