Il cinema di Francesco Rosi

rassegna di cinema | l’Asilo | 19 marzo – 9 aprile

fare cinema significa contrarre un impegno morale
con la propria coscienza e con gli spettatori
– F. Rosi (Napoli, 1922 – Roma, 2015)

#1 giovedì 19 marzo h 21
Marcello Anselmo e Marcello Sannino introducono
I magliari
di Francesco Rosi
Italia, Francia 1959 (121 min, b/n)

#2 giovedì 26 marzo h 21
Francesco Saponaro e Alberto Castellano introducono
Il caso Mattei
di Francesco Rosi
Italia 1972 (110 min, colore)

#3 giovedì 2 aprile h 21
Maurizio Braucci introduce
Salvatore Giuliano
di Francesco Rosi
Italia 1962 (118 min, b/n)

#4 giovedì 9 aprile h 21
Leonardo Di Costanzo introduce
Uomini contro
di Francesco Rosi
Italia, Jugoslavia 1970 (101 min, colore)

 

Francesco Rosi ci ha lasciati il 10 gennaio 2015. Aveva 92 anni. Il suo cinema è un grande esercizio di verità personale e collettivo.

Rosi traccia un percorso di cinematografia coerente che mette in questione tutti gli aspetti del potere pubblico e privato italiano. Il suo cinema ha viaggiato tanto ma è un po’ come una cosa nostra, perché si occupa in qualche modo di noi, del nostro stato di salute collettivo.

Rosi nasce a Napoli nel 1922. Dopo il teatro e la radio, comincia nel cinema al fianco di Visconti e Gassman. Nel 1958 trova i finanziamenti per un suo primo film, La sfida. La sua strada autoriale è segnata fin da subito: nel panorama post-neorealista degli anni ’50 il suo film, pur conservando una struttura tradizionale, ha già qualcosa dell’inchiesta politica e sociologica, ma è a partire dagli anni ’60 che arriveranno i capolavori indimenticabili. Il film-inchiesta è la grande invenzione di Rosi: consiste nell’offrire la ricostruzione di un fatto di realtà sotto forma di spettacolo cinematografico di finzione. Pochi sono gli autori che negli anni Sessanta e Settanta percorrono lo stesso cammino, su tutti il grande Costas-Gavras, il greco autore del capolavoro di analisi politica che è Z.

Che tratti della speculazione edilizia a Napoli negli anni ’60 (Le mani sulla città, 1963), dei legami tra mafia e stato (Il caso Mattei, 1972), della biografia di un grande criminale (Lucky Luciano), il film-inchiesta richiede sempre un lunghissimo lavoro preparatorio di documentazione e studio tra archivi e atti di processi. Richiede poi una presa di contatto con i luoghi, le persone, le memorie direttamente coinvolte nei fatti –lavoro, questo, affrontato collettivamente: con la troupe portata nel paese d’origine di Lucky Luciano o di Salvatore Giuliano, con gli attori che dialogano con i personaggi in carne ed ossa che dovranno interpretare o con le persone che hanno vissuto la strage di Portella della Ginestra e che reciteranno nel film. “Nei miei film ho sempre preso alcuni personaggi dalla vita vera e li ho fatti diventare attori. Pretendevo solo che parlassero, che adattassero il dialogo con la loro lingua. Io dovevo fare in modo che a loro, quel dialogo, sembrasse vero, che lo sentissero dentro.” Il film-inchiesta richiede poi un attento lavoro di sintesi mediale tra ciò che è emerso dai materiali, le persone, i luoghi, e il mezzo d’arrivo, quello cinematografico. Ne risulta un racconto rigoroso e allo stesso tempo altamente fruibile come prodotto di finzione; di più, un racconto di magistrale bellezza che resta funzionale alle questioni e ai problemi posti dal film. “Ciò che non amo della definizione di cinema politico è che questo termine rischia di escludere tutto il resto. E questo non va, perché c’è anche la forma che conta, e nel mio cinema è decisiva”: queste le parole di Rosi, che non amava le catalogazioni di genere per i film. Il montaggio, la concatenazione di idee e di immagini è la tecnica fondamentale di Rosi per costruire le sue inchieste sul potere. Ne risultano un metodo singolare e uno stile particolarissimo, fatto di montaggio logico e non cronologico, fatto di grandissimi attori americani perfettamente calati nelle parti di un gioco di potere tutto italiano. Il risultato finale è una visione che è anche sempre una scelta critica, una presa di posizione, una sfida lanciata alla collettività perché veda se stessa.

Con i quattro film in programma vogliamo innamorarci ancora una volta delle possibilità del cinema come mezzo di confronto e di crescita collettive. Lasciamo fuori qualche altro grande lavoro di Rosi nel genere d’inchiesta. Lasciamo fuori anche , per il momento, un filone generalmente considerato minore nella sua produzione: la fiaba rosiana, il racconto popolare originale o di antica tradizione: Il momento della verità (1964) e C’era una volta (1967).

 

# 1 I magliari (1959). Nella Germania del miracolo economico i magliari dell’Italia del Sud hanno successo nel commercio di stoffe e di tappeti di contrabbando. Un nuovo arrivato cerca di scalzare il vecchio boss senza riuscirci.
“ Adesso quel film è rivalutato, allora non convinse troppo. Tutti aspettavano da me un film come La sfida, mentre io avevo preso Sordi, che in quel ruolo è formidabile. La chiave comica non se l’aspettava nessuno. Sordi aveva colto magnificamente sia l’aspetto umoristico sia quello drammatico del magliaro”.

# 2 Il caso Mattei (1972). Nominato nell’immediato dopoguerra capo dell’Agip, l’ente petrolifero creato dal fascismo, con il compito di liquidarla, il marchigiano Enrico Mattei decide invece di tenerla in vita. La sua decisione è dovuta al ritrovamento di una relazione che afferma che la Val Padana nasconde importanti risorse energetiche. Riprese le trivellazioni, l’Agip trova soprattutto metano. Questo gas consentirà di fornire all’industria energia a basso prezzo. Per Mattei è il punto di partenza per la creazione di un centro di potere, al servizio dello stato e degli italiani, che gli darà il modo di impostare su nuove basi i rapporti con i Paesi produttori di petrolio. La sua politica, sorretta da giuste intuizioni, e condotta con straordinaria energia e spirito imprenditoriale, provocherà la rabbiosa reazione degli interessi da lui colpiti. Una miscela di cifre narrative. La cronaca nella cronaca, il cinema nel cinema, l’indagine giornalistica nell’indagine giornalistica.
“ Mattei aveva in mente un cambiamento totale degli equilibri mondiali. Per questo la sua morte restò avvolta da dubbi e misteri”.

# 3 con Salvatore Giuliano (1961) Rosi apre il periodo più fecondo della suo percorso cinematografico e incomincia a fare film con la stessa attitudine e passione con la quale ci si pone una domanda. Salvatore Giuliano indaga i legami tra la polizia, la giustizia e la mafia, raccontando un personaggio attraverso l’intuizione geniale di mostrarlo il meno possibile. Per la scena dell’assassinio dei comunisti organizzato dai politici del movimento separatista siciliano, la messa in scena di Rosi fu così vicina a quanto realmente accaduto che gli abitanti del paese, che avevano vissuto l’evento e che ora lo recitavano, si complimentarono con lui.
“ Mi rendo conto che Salvatore Giuliano, secondo quello che hanno scritto molti critici e colleghi, anche stranieri, come Scorsese e Coppola, è il film che segna una svolta stilistica, l’inizio di un genere poi definito impropriamente soltanto politico. Dico impropriamente perché è un film sociale, politico, sentimentale, un film che tiene dentro tutti i generi. Anche per questa ragione non è facile ripercorrere la vicenda di questo film. Non è facile mi perdo anche io dietro alle migliaia di dettagli che assalgono la mia memoria”.

# 4 Uomini contro (1970). Un film sulla Grande Guerra, ma anche un grande film sulla guerra che lascia spazio, oltre alle ricostruzioni storiche, anche ad una visione personale della storia e dei rapporti umani. Uomini contro condanna in modo diretto e aperto la guerra, mostrando chiaramente che il nemico non è il soldato avversario, di solito ugualmente povero e venuto da uno dei tanti villaggi sparsi nelle grandi nazioni europee  -il nemico è il principio gerarchico di potere, superiore ed inumano, che agisce sulle vite. È il film in cui entrano nel cinema di Rosi le classi basse, generalmente escluse in quanto non detentrici di potere politico, qui al centro della scena e figuranti in carne ed ossa del crudele gioco della guerra. Prima collaborazione con Gian Maria Volonté, che da questo momento accompagnerà Rosi per altri quattro film.
“ Ogni attacco, ogni assalto finiva con una decimazione di questi poveri cristi, tutti quanti colpiti e morti sul campo. Tra le trincee c’era un avvallamento e i cadaveri dei soldati diventarono tanti da colmarlo tutto. Il generale comandò l’ultimo assalto facendo scavalcare i corpi ammassati. Soldati vivi che passavano su soldati morti. E’ la conferma della follia, la follia del potere, la follia di un’idea assurda di patriottismo”.

Le citazioni di Francesco Rosi sono tratte da F. Rosi, Io lo chiamo cinematografo. Conversazioni con Giuseppe Tornatore (Mondadori, 2014)

 

Ogni proiezione sarà accompagnata da brevi estratti dal documentario Diario napoletano (1992), concepito e realizzato da Rosi come un’auto-retrospettiva sulla sua carriera e su uno dei suoi film indimenticabili, Le mani sulla città, uscito una trentina d’anni prima (1963).

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