assemblea pubblica

#stopbiocidio

verso la mobilitazione

del 16 novembre

#fiumeinpiena

ex Asilo Filangieri
lunedì 21 ottobre, ore 18

Da più di un mese, ormai, il tema del biocidio non circola più soltanto tra i pochi ricercatori e i pochi comitati che nella nostra regione hanno sempre avuto una spiccata sensibilità per la tematica ambientale.
È, invece, un fenomeno di massa. È una questione che mobilita decine di migliaia di persone tra l’area nord e la provincia di Napoli, Aversa e Caserta.
Un movimento ampio, partecipato, democratico, che ambisce a tenere insieme l’inclusività di tutte le esperienze, i linguaggi, i percorsi politici che lo animano, con una pratica chiara dell’obiettivo: no all’inceneritore a Giugliano o altrove, differenziata, piano di bonifiche con il controllo delle comunità territoriali.
Un movimento che sta provando a federare diverse esperienze di resistenza, diffuse su tutto il territorio: da chi si batte contro i roghi tossici, ai comitati anti-inceneritore, ai presidi permanenti contro le discariche.
Tutte queste esperienze ci parlano di una questione: quella del rapporto tra uomo e territorio.Ci parlano, cioè, del diritto che le comunità locali hanno di decidere cosa succede sulla propria terra: diritto alla decisione sulle grandi opere, sull’edilizia, sullo smaltimento dei rifiuti, sulla produzione.
Questo diritto è minato allo stesso tempo dalla camorra – che ovviamente oggi non è riducibile al sottobosco criminale, ma una vera e propria holding con interessi miliardari -, da alcuni apparati di Stato e da pezzi dell’imprenditoria collusa e connivente con questo sistema di potere.
Il movimento contro il biocidio oggi solleva una contraddizione: tra chi sfrutta le risorse dei territori per l’arricchimento di pochi e chi in quei territori ci vive, costruendo relazioni e facendo comunità. Da un lato il potere dei pochi che, usando la crisi come paravento, militarizzano i territori e accumulano profitto protetti dalle leggi speciali che sospendono qualunque processo democratico; dall’altro le decine di migliaia di persone che non ne possono più di veder morire i propri fratelli, i propri figli, che non ne possono più di vedere la propria terra sventrata e avvelenata in nome di un’idea di sviluppo criminale e non sostenibile.
La sfida è quella di dotare quest’esperienze di resistenza diffuse di un orizzonte comune di senso: spiegando che i meccanismi di decisione, controllo e repressione funzionano allo stesso modo, che la controparte ha molte facce, ma un solo interesse (sfruttare cittadini e territori per arricchirsi). Spiegando, soprattutto, che l’unica chance di ribaltare la situazione è quella di unirsi in una battaglia che non può essere solo dei giuglianesi, solo degli aversani: è, invece, una battaglia che deve interrogare il nodo comunità-territori e far saltare l’idea che la decisione su questi temi possa prescindere dalla volontà collettiva.
Una volontà collettiva che, dal basso, produce nuove forme di democrazia, reale, espansiva, capace di mettere assieme tanti e diversi e di discutere assieme, dal basso, di alternative di sviluppo sostenibili e condivise. Per troppo tempo il razzismo ambientale – di chi aveva bisogno di aprire la strada a nuove, violente ondate di accumulazione – ha prodotto solitudine, emarginazione e scoraggiamento nei luoghi in cui ha imposto le sue fabbriche di morte e sfruttamento: convincendo le persone che i problemi di un posto non riguardassero tutti, che se una discarica, un inceneritore, una grande opera veniva imposta ad alcuni cittadini, il problema restava il loro e basta e che, anzi, un presunto interesse generale (che invece è sempre interesse meschino di una parte) potesse sacrificare questo o quel pezzetto di mondo (e se, nel farlo, qualcuno ci muore, poco male).
La sfida è rifiutare queste segmentazioni, queste divisioni, perché i mille rivoli di questo potere che attacca l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, l’acqua, così come attacca le comunità in cui cresciamo, produciamo relazioni, saperi, affetti, rendono urgente una stessa domanda: chi decide? chi decide delle nostre vite? chi, in tutto il Paese, decide cosa fare dei nostri territori? chi decide del nostro futuro? chi decide se possiamo o non possiamo avere una vita dignitosa, senza la minaccia incombente dell’avvelenamento? chi decide che una terra coltivata, un pascolo, una riserva naturale possono essere sfigurate in nome del profitto di pochi?
Il movimento campano contro il biocidio dà quindi stimoli in una direzione che non è solo campana: stimoli che immaginiamo parlino la lingua plurale di tutte le comunità che resistono allo scempio della propria terra e alla devastazione della propria vita.
Il 16 novembre pensiamo si debbano portare per le strade questi temi, chiaramente immaginandosi quella data come l’apertura di un ragionamento e di un processo di mobilitazione che non possono essere esauriti da un corteo, ma che – anzi – debbono trovare in piazza nuova linfa e nuove occasioni di rilancio. Un ragionamento e un processo che sappiano tenere dentro, in modo intelligente, quel portato di lotte e di mobilitazioni che in campania da un mese hanno saputo mettere in gioco i propri percorsi, le proprie provenienze sul terreno del biocidio. Un ragionamento e un processo che, però, sappiano anche guardare fuori dai confini regionali e dalla temporalità imposta dall’emergenza e che si chiedano (perché nessuno ha risposte preconfezionate) come connettere i tanti focolai di resistenza sparpagliati per il Paese in una storia condivisa: quella delle comunità che si riappropriano del diritto di decidere della propria terra, della propria salute, del proprio futuro.

Lunedì 21 ottobre ne parliamo insieme in occasione dell’assemblea pubblica che si terrà all’ex Asilo Filangieri alle ore 18.

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L’Ex Asilo Filangieri si trova in vico Giuseppe Maffei 4 (via San Gregorio Armeno)