Il prima marzo 2021 il Nuovo Teatro Sanità ha pubblicato uno schema in cui spiega perché è difficile esultare alla notizia della riapertura dei teatri. Con una semplicità disarmante si fotografano così i paradossi che viviamo da tempo e l’incapacità di chi ci governa di farsi carico dei problemi reali.Oltre a rendere chiara la beffa di un’eventuale nuova “falsa ripartenza” dei teatri, questo schema ci permette di comprendere le condizioni in cui, già prima di questa emergenza, lavoravano i piccoli e medi teatri e le compagnie indipendenti che si muovono su questo terreno.
Parliamo di introiti, tanto per i teatri quanto per le compagnie, quasi sempre insufficienti per provvedere a paghe adeguate e assolutamente irrisori rispetto all’inestimabile ricaduta sociale e culturale prodotta, decurtati dalla Siae (sui cui oneri iniqui ci sarebbe molto da dire e contro i quali ci battiamo da tempo), iva e altre voci che non tengono minimamente conto della specificità delle attività su cui si abbattono.
È ormai noto a tutti e a tutte che altrove, in luoghi a noi vicini, è lo stato a garantire i costi che il mercato non riesce a coprire, perché la cultura, l’arte e lo spettacolo dal vivo sono settori strategici capaci di generare un grande indotto sociale ed economico sui territori.
Da decenni, invece, assistiamo a politiche culturali pubbliche fondate esclusivamente su criteri quantitativi e su concezioni di monetarizzazione spiccia incapaci di trattare la cultura come un investimento in grado di portare frutti nel tempo (ad oggi la cultura produce in termini di pil molto più di quanto lo stato ne investa). È un paradigma cieco e rapace, che non riconoscendo parametri come la redditività civica e sociale finisce per sfruttare il lavoro di chi svolge una fondamentale funzione per la comunità.
Tutto questo, quando basterebbe cominciare a sostenere economicamente tanto le stagioni dei teatri più piccoli quanto le produzioni delle compagnie indipendenti attraverso le residenze, e mettere i tantissimi spazi inutilizzati delle città a disposizione di artisti e artiste per le prove e per la ricerca, gratuitamente e magari secondo le modalità mutualistiche dell’uso civico e collettivo, come avviene tutti i giorni da 9 anni negli spazi dell’Asilo, che ha dato la possibilità a centinaia di compagnie che non potevano permettersi uno spazio prove a pagamento, di costruire e sperimentare un proprio percorso, abbattere i primi costi di produzione e poter debuttare proprio in quei teatri.
Questo getterebbe le prime basi di un sistema integrato e cooperante che, oltre a restituire un po’ di dignità ai tantissimi lavoratori e lavoratrici del settore, avrebbe ricadute più strutturate e durature.
I piccoli e medi teatri, così come gli spazi liberati e i centri sociali, sono da sempre gli avamposti culturali di prossimità sui territori, sono i primi generatori di comunità nonché la vera ossatura del teatro d’arte nazionale, così come le tante compagnie indipendenti sono parte fondamentale per la ricerca e per la sperimentazione teatrale.
Se indietro non si torna è adesso che bisogna battersi per garantire sostenibilità, dignità e autodeterminazione a chi pratica percorsi creativi indipendenti e di prossimità.