Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Lui solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
[…]
Ogni pagina una vittoria.
Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grande uomo.
Chi ne pagò le spese?
Tante vicende.
Tante domande.
(B. Brecht, Domande di un lettore operaio)

Il Risiko dei beni comuni

Facciamo un po’ di chiarezza sul percorso che ha portato al riconoscimento dell’uso civico e collettivo urbano de l’Asilo, ora esteso ad altri spazi liberati napoletani.
Cogliamo l’occasione del reiterarsi di una lettera aperta alla città che vuole fare pressione sul Sindaco e sul Consiglio comunale per chiedere una delibera consiliare di adesione a una proposta tutt’altro che condivisa nei territori: quella di una legge delega a questo governo per rivedere la disciplina del codice civile e che purtroppo non tutelerebbe né riconoscerebbe i beni comuni.

Vedi il nostro “Appello per costruire in comune lo spazio urbano e difendere i beni comuni naturali”

Per le ragioni che abbiamo già esposto mesi fa, e che hanno visto la convergenza di tantissime realtà impegnate a tutti i livelli locali e nazionali, ci auguriamo che una tale delibera non sia proposta, così che i Consiglieri e le Consigliere, rappresentanti della città tutta, siano lasciat* liber* di accogliere la varietà di idee sul tema, senza sentirsi in dovere di aderire alla linea unica avanzata da dietro la cattedra dall’ex assessore. Ricordiamo che proprio queste posizioni di linea unica, assunte dai frontmen dell’iniziativa cosiddetta popolare, vengono portate avanti chiedendo l’adesione a un atto preconfezionato e aggredendo, ci dispiace dirlo ma sono ormai molteplici le occasioni in cui è accaduto, il dissenso con una politica machista e patriarcale. Ci sembra che tanto impegno a chiedere simili atti di adozione ai Consigli comunali, che non hanno alcun peso effettivo, serva solo a inscenare un “Risiko politico” dei beni comuni, una conta dei loro amici e nemici, dei padrini e interpreti col bollino…un gioco vecchio, inutile, dannoso.
Ci sentiamo in dovere di narrare queste differenze, per raccontare un percorso che si incrocia con quello di tante delle realtà che stanno raccogliendo le firme per la proposta, ma è stato ignorato dai promotori e oggi è sotto attacco, accusato di “marginalità” (come se la marginalità fosse una colpa, invece che una condizione da tutelare rispetto a rapporti di forza sbilanciati).

Può essere allora un utile esercizio di ricostruzione per quei tanti beni comuni urbani che in altre città stanno lottando per ottenere il nostro stesso riconoscimento. E può essere anche un esercizio di verità rispetto ad alcune ricostruzioni fantasiose di chi vorrebbe ascriversi il merito (politico, accademico, di innovazione politica e giuridica) di questa esperienza.
Dalla nostra visuale terrestre, vediamo bene che nessuna delibera è frutto di una sola grande mente, e meno ancora le delibere sui beni comuni, che partono da un ritrovarsi di tanti grandi movimenti nazionali, e purtroppo riprendono solo qualche briciola della loro elaborazione. Gli attivisti e le attiviste dell’Asilo pensarono e tradussero la loro pratica in proposte concrete. Lì dove non sarebbe stato possibile senza la presenza, il sostegno e la generosità di tutti gli altri movimenti, che davano forza, la cittadinanza diffusa che riempiva le assemblee.
La realtà è insomma ben diversa da quella proposta dell’allora assessore Alberto Lucarelli. Gli si può rispondere parafrasando Brecht. Non è forse vero che (molte) altre delibere sono state approvate da altri assessori? E poi non c’erano, come in tutte le delibere, il sindaco in prima persona, consiglieri, amministratori, uffici comunali, tavoli e negoziazioni interminabili con gli avvocati del Comune? E nel frattempo dov’erano quei movimenti che insieme hanno costruito e portato in Comune quei discorsi nuovi: le esperienze dei teatri liberati, le lotte ambientali, le campagne per la casa, i comitati, i collettivi universitari? Che faceva tutto quel movimento sull’acqua che ha vinto il referendum, casa per casa, banchetto per banchetto, piazza per piazza?
Evidentemente c’è un altro pezzo della narrazione, che la lettera “alla città di Napoli, per i beni comuni” non racconta. Oggi si discute di questi temi in città proprio perché le realtà di base hanno trascinato in piazza chi era al potere in città, e hanno preteso che si parlasse pubblicamente di questi argomenti. Ed è quello che facciamo tuttora, trainando un percorso faticoso sulle nuove istituzioni, sul debito pubblico illegittimo, sui beni comuni, sul diritto all’abitare, sul governo del territorio, sulle economie non competitive.
Se poi vogliamo essere proprio precisi, e ci limitiamo a quello che riguarda la storia dell’Asilo, Lucarelli non “inventò” affatto il nostro uso civico, semmai ebbe il merito (e questo glielo riconosciamo senza ironia) di lasciarselo dettare, almeno in parte. Purtroppo storpiò proprio la parte finale della nostra prima delibera, cercando di far entrare dalla finestra il modello già morto del “suo” laboratorio Napoli secondo il quale ogni assemblea dell’Asilo sarebbe dovuta essere convocata e presieduta dall’assessore competente, e le proposte sarebbero dovute pervenire secondo un modello “disciplinare” standard, e vagliate secondo l’arbitrio e i tempi di qualche funzionario del comune. Un’invenzione un po’ vecchia, che avrebbe tradito e castrato la vitalità del processo tuttora in corso e che purtroppo rallentò di tre anni il vero riconoscimento di quella pratica innovativa sui beni comuni che ora ci si vorrebbe ascrivere, avvenuto con la delibera del dicembre 2015. Per arrivare a quest’ultima, è stato necessario un lento, costante confronto collettivo, con la scrittura della dichiarazione d’uso civico da parte della comunità di riferimento, riunita in assemblee sempre pubbliche che decidono per consenso, e con una reale messa in discussione dei meccanismi di potere da parte dell’amministrazione. Per non parlare dei recenti attacchi che sono stati fatti contro altre esperienze che hanno intrapreso il percorso degli usi civici, in interviste a mezzo stampa che tentavano di delegittimarne i percorsi

E ci dispiace – ma al tempo stesso non ci sembra casuale – che questa falsa rivendicazione sia sollevata proprio per chiedere l’adesione alla proposta di legge di iniziativa popolare sui beni comuni, su cui già in una precedente lettera aperta l’ex assessore aveva sollecitato una delibera di Consiglio. Parliamo di quella stessa proposta che per metodo e per merito – come abbiamo già scritto in un documento firmato da 22 realtà nazionali – dimentica e schiaccia proprio quelle realtà di base che a Napoli e in tutta Italia hanno dato ossigeno al percorso dei beni comuni urbani.
Oggi questi beni comuni urbani sono un caso di studio internazionale. Ci siamo riunit* in una rete di oltre dieci spazi napoletani, capaci di mettere in campo proposte unitarie a partire dall’eterogeneità di pratiche, idee e attività. Siamo parte di un’importante rete europea di centri artistici e culturali. Ci hanno chiamat* in Italia, ma anche in Belgio, Francia, Grecia, Spagna… Tutte queste occasioni sono state per noi non una vetrina, ma un’opportunità per costruire ponti tra realtà eterogenee, cogliendo ciò che ci unisce e quello che ci differenzia. Soprattutto, sono opportunità per abbracciare relazioni umane, oltre che di lotta, accompagnando e sostenendo umanamente e giuridicamente altre realtà emergenti che ovunque rischiano di essere stroncate sul nascere da norme giuridiche repressive.
Certo, i nostri nomi e le nostre facce sono poco noti, perché non vogliamo costruirci un’immagine, ma aiutiamo senza pubblicità a scrivere e pensare atti amministrativi innovativi, agire sulle relazioni tra soggettività diverse. Questo insieme di feste, convegni, incontri, manifestazioni nazionali ha costruito, in modo lento ma solido, una rete informale che spiega i numeri dell’assemblea nazionale del 17 febbraio: oltre 46 realtà da tutta Italia, che ringraziamo per essere state presenti e averci sostenut* con il loro contributo di idee e desideri, in un evento che pure era stato chiamato appena un mese prima. Una rete che questo mese rilancia con un nuovo appuntamento, sdoppiato tra l’anniversario dei 10 anni di Casa Bettola (Reggio Emilia, 21-23 giugno) e il quinto compleanno di Mondeggi (Mondeggi, 28-30 giugno).

E vorremmo ricordare che tutto questo è stato possibile proprio per il fatto che, come abbiamo raccontato sopra, abbiamo archiviato il Laboratorio Napoli e gli strumenti partecipativi superati che l’assessorato andava sostenendo. Così abbiamo bruciato le vecchie logiche di co-gestione, corresponsabilità e consultazione dall’alto, e abbiamo liberato energie per un processo di creazione collettiva di nuove istituzioni. In questo ci ha spinto, e ci spinge, la ricerca di un nuovo modo di fare comunità e produrre saperi, attraverso concrete pratiche quotidiane innovative e di autodeterminazione, sul piano umano, culturale, relazionale. Il nostro uso creativo del diritto è il prodotto di questa ricerca che va verso il superamento delle relazioni escludenti e competitive tipiche del mercato, ed è solo uno dei modi in cui questa tensione ha scelto di tradursi e replicarsi.
Ed è appena il caso di specificare che il noi di cui parliamo si compone delle migliaia di persone che dal 2 marzo 2012 (e anche da prima) si sono succedute e hanno contribuito con i corpi e con l’intelligenza collettiva, secondo il fondamentale principio di autodeterminazione che l’ex assessore continua a svilire, a generare e a far crescere un processo che oggi appartiene alla città e alle generazioni future.