Ci siamo interrogati, in seguito alla tre giorni del #grandeVento, sul significato complessivo che questa iniziativa ha avuto per noi e per la città. Traendo delle conclusioni che, oltre a tracciare un bilancio, traccino anche la traiettoria dalla quale intendiamo ripartire.

Innanzitutto, il modello: in direzione ostinata e contraria, sulla base delle pratiche di condivisione e inclusività avviate da 20 mesi all’ex Asilo Filangieri, abbiamo tenacemente incentrato questa tre giorni di arte sulla cooperazione tra artisti e tra artisti e attivisti dell’Asilo. Abbiamo scelto la parola chiave interdipendenza per sottolineare che lo scambio reciproco, l’incontro e le relazioni umane che non siano votate al profitto e allo sfruttamento sono non solo possibili, ma addirittura più efficienti – parola così cara ai profeti del mercato – ed efficaci.

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Tre giorni in cui decine di artisti hanno potuto incontrarsi ed esprimersi liberamente, in cui migliaia di persone hanno potuto fruire altrettanto liberamente di arte e socialità, senza prezzi del biglietto a limitarne l’ingresso ma contribuendo, tramite una sottoscrizione volontaria, al sostegno dell’Asilo. E a proposito di sottoscrizioni: consapevoli che una tale forza lavoro non può e non potrà mai dipendere economicamente da un biglietto, ma da politiche di investimento pubblico secondo nuovi criteri di accessibilità e redistribuzione, tutto ciò che abbiamo incassato verrà reinvestito nell’acquisto di mezzi di produzione e strumenti dei quali potranno beneficiare le lavoratrici e i lavoratori di questo settore. La solidarietà, in altri termini, è l’arma che continuiamo ad usare.

Incontri, socialità libera e libera fruizione, cooperazione, mutuo soccorso e solidarietà attiva, oltre alle numerose ed eterogenee opere d’arte che hanno riempito l’Asilo sono motivi per trarre un bilancio e ripartire più forti e consapevoli che l’alternativa è possibile.

L’alternativa ad una gestione verticistica e clientelare delle risorse comuni, al profitto per il profitto, all’esclusione legata ai prezzi dei biglietti, ai consulenti strapagati e agli incompetenti che gestiscono la cultura a Napoli, in  Campania e nel paese perché vicini a questo o quel partito.

Per noi è essenziale ripartire dalla consapevolezza che, oltre ad una critica radicale all’esistente, abbiamo sperimentato un modello alternativo che funziona.

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Dunque, si-può-fare! E’ concretamente possibile che la cultura, le arti e lo spettacolo siano gestite non da pochi affaristi ma in modo diretto da chi lavora e produce materialmente e immaterialmente in questo settore.

Senza dubbio, imparare la grammatica dell’uguaglianza nelle differenze e dell’orizzontalità delle decisioni è un percorso lungo e difficile, necessita di luoghi appositi (comitati, assemblee, organizzazione) e tempo, tanto tempo, quello che per il capitalismo avanzato e la finanza rapace si traduce direttamente in profitto; il tempo rubato della precarietà diffusa. Per noi no, il tempo è il luogo delle relazioni, della sperimentazione, della libera espressione.

E allora, buona la prima. Da qui ripartiamo.