Venezia 28-29 settembre 2019

Terzo incontro della rete nazionale beni comuni emergenti e a uso civico

Report dei tavoli di lavoro

 

Pubblichiamo il report del terzo incontro della rete nazionale dei beni comuni emergenti e a uso civico, che fa seguito a quello tenutosi il 17 febbraio a Napoli, all’Asilo e tra il 22 giugno, a Casa Bettola (Reggio Emilia), e il 29 giugno 2019, a Mondeggi (Bagno a Ripoli)

La rete coinvolge realtà di base che rivendicano e difendono i beni comuni in quanto caratterizzati dalla gestione collettiva diretta o partecipata di risorse che sono essenziali per i diritti fondamentali, o lo diventano in quanto gestite per finalità sociali e mutualistiche. Il percorso è nato da un appello del gennaio 2019, firmato da più di venti realtà, che evidenziava la necessità di rafforzare le lotte sui beni comuni in tutti i territori, attraverso una «piattaforma politica per la condivisione e la continua sperimentazione di pratiche, saperi e strumenti amministrativi capaci di sfidare e superare lo stato di cose presenti».

 

I prossimi incontri della rete:
– Bread and Roses si propone per fare l’assemblea nazionale tra fine marzo e inizio aprile, in coincidenza con il compleanno dello spazio;
– analizzeremo la possibilità di organizzare un incontro prima, verso gennaio, ad esempio, a Milano.

Tavolo Economie
Il tavolo economia, poiché buona parte dei partecipanti sono diversi da Casa Bettola, si pone su un solco diverso dal tavolo precedente. Se a Reggio Emilia, con la presenza di molte cucine popolari e produttori, si è soprattutto discusso delle criticità attorno la produzione e distribuzione di beni primari, la discussione di Venezia, grazie anche alla partecipazione di ex-studenti del master in rigenerazione urbana URise, ha riflettuto sul tema dell’impatto/valore sociale dei beni comuni emergenti. Come nelle occasioni precedenti, più domande che soluzioni, ma, forse, questa volta si individuata e condivisa una domanda piuttosto giusta: come quantificare il capitale relazionale e sociale dei beni comuni? Quali valori o parametri utilizzare?

  • Il tavolo si apre con la descrizione delle pratiche delle realtà presenti:
    • C’è Luca, del Mercato Sonato di Bologna: non è un bene comune, ma fa attività sociale. All’interno del mercato ci sono laboratori, ma questi non danno affitto bensì ore-lavoro nei confronti della struttura. Tutti i lavoratori del Mercato Sonato ricevono un compenso o rimborso spese, a seconda dei casi – è nato proprio per superare il volontariato nell’ambito culturale-artistico. Si mettono a disposizione comunque le proprie competenze.
    • C’è ancora l’Asilo, da Napoli, un’occupazione fatta sull’onda della crisi economica e dell’esperienza del Teatro Valle, poi riconosciuta come Bene comune per uso civico e collettivo nel 2015. Oggi è un luogo di creazione artistica e culturale gestito in modo assembleare.
    L’economia che si sviluppa al suo interno è soprattutto indiretta, non vi è reddito diretto. Molti spettacoli o artefatti prodotti, dopo essere qui presentati, debuttano o trovano utilizzo all’esterno. I laboratori hanno prezzi popolari e non vincolanti.
    Da qualche anno la comunità si è aperta alla partecipazione di bandi (vincendo due anni fa Culturability).
    Hanno una grande redditività sociale in città ma hanno difficoltà a tradurla numericamente, cosa che vorrebbero fare anche per far rivalere i diritti della comunità.
    • Ci sono Gabriella ed Emmanuele da Mondeggi, occupazione (liberazione!) di una collina in abbandono di proprietà dell Città di Firenze, recuperata per la coltivazione (in una regione, la Toscana, dove la terra ha costi esorbitanti). Strutturata in gruppi di affinità, che seguono diversi progetti agricoli accordati/approvati dall’assemblea; gli introiti ottenuti dai progetti agricoli vanno in parte a chi li compie e in parte alla comunità. A questo reddito si aggiungono iniziative – come la scuola contadina e le raccolte collettive – i cui proventi vengono destinati per la maggior parte all’interno di Mondeggi (per sostenere i costi delle attività e gli investimenti).
    È complicato dare un valore al lavoro delle persone che lo fanno. Bisognerebbe essere più capaci di monetizzare l’impatto sociale, che è quello che vorrebbero gli enti pubblici, ma che servirebbe anche per attirare risorse.
    La comunità ha deciso di non far uso di finanziamenti come bandi europei o bancari per evitare effetto capestro e l’eccessiva dipendenza su questo tipo di attività. Hanno fatto più volte ricorso al crowdfunding con successo (l’ultima volta di 25mila euro per due trattori).
    • Carla racconta di Casa Bettola, casa cantoniera abbandonata e occupata da dieci anni. Sono un bene comune a disposizione della comunità. Tra le varie iniziative hanno creato un forno comune, motivo di aggregazione del quartiere. Sempre tramite il forno si riesce a garantire il reddito per due persone in bisogno.
    Organizzano una pizzata ogni mercoledì, e hanno un mercatino biologico settimanale. Si cerca di fornire a tutti i fruitori una trasparenza sul prezzo.
    Vengono riportati altri modelli non presenti nel cerchio:
    • Cucina Brigante: recuperano frutta e verdura al mercato centrale di Padova, che ridistribuiscono in vari punti della città. Sono insediati alla CLAC di Padova, un ex-Macello. Interessante che fanno tutto a offerta libera.
    • Bread and Roses a Bari: uno spazio verde gestito sul modello dei beni comuni, da cui è nata anche l’esperienza di SfruttaZero, progetto mutualistico che vede direttamente protagonisti migranti, contadini, giovani precari e disoccupati nella lavorazione del pomodoro.
    • Scuola Open Source di Bari, un collettivo di designer, hacktivisti e altri professionisti che si occupa di ricerca e didattica su co-progettazione, modelli di governance, piattaforme, reddito civico. Hanno organizzato l’ultimo laboratorio proprio sui beni comuni, a San Vito dei Normanni, dove è stato stilato un nuovo regolamento dei beni comuni.

La discussione si protrae attorno alle fatidiche domande della rete: come hackerare il capitalismo? Come dare autonomia e sviluppo economico alle esperienze dei beni comuni di cui facciamo parte? Quale orizzonte comune tra le economie altre? Quale riconoscimento economico a chi contribuisce alle attività, per andare oltre il volontariato?
Si fanno notare alcune criticità primitive portate dalla moneta, come la concentrazione di potere, la difesa delle posizioni, la creazione di ruoli… che possono snaturare la filosofia dei beni comuni. Per questo la trasparenza monetaria dei beni comuni (ad esempio sui prezzi
Certo è che di solo idealismo non si vive, e l’entusiasmo dei primi tempi non è sostenibile sul lungo termine (“il bene comune deve dare lavoro, altrimenti non è autonomia, è sussistenza”, viene detto da qualcun*).
Di qui l’idea di “tradurre”, in qualche modo, il valore sociale scaturito dai beni comuni. Si porta l’esempio di alcuni indicatori alternativi – che misurino più il benessere della comunità e del territorio sui cui opera, piuttosto del profitto mancato – come la FIL, la Felicità Interna Lorda utilizzata dallo stato del Buthan. Anche la valorizzazione del reddito potrebbe essere individuata non tramite parametri standard, ma di relazione.
In senso più pragmatico, l’individuazione di parametri quantitativi applicabili ai beni comuni potrebbero essere utilizzati nel dialogo con l’amministrazione ed altri enti che di questo “linguaggio” fanno utilizzo e richiesta.
Potrebbero essere coinvolti ricercatori e studenti che spesso si mettono in contatto con la rete – come gli studenti U-Rise presenti al tavolo – nello sviluppo di strumenti e indicatori che possano aiutare le nostre esperienze a rappresentarsi.

Tavolo giuridico
Il tavolo parte da un aggiornamento sugli sviluppi avuti durante l’assemblea di giugno a Mondeggi. L’idea che si era prospettata era quella di lavorare a un emendamento comune ai Regolamenti di amministrazione condivisa, in via di approvazione nelle diverse città. Non ci sono stati ulteriori incontri della rete dopo quella data; tuttavia, alcuni/e componenti hanno partecipato – insieme a esperti ed esperti da tutta Italia, anche esterni alla rete dei beni comuni – al Laboratorio XYZ della Scuola open source di agosto 2019, che aveva il compito di scrivere un regolamento sui beni comuni per il Comune di San Vito dei Normanni. Il Regolamento prodotto nel laboratorio sarà diffuso nella rete quando sarà reso pubblico dalla Scuola Open source, e il discorso su questo tema si aggiorna al prossimo incontro.
[N.d.R. Il regolamento è stato ora pubblicato su: http://www.lascuolaopensource.xyz/blog/il-metodo-favoloso] In ogni caso, al tavolo viene ricordato che questi regolamenti sono solo una parte del tema, perché il comune non è il solo soggetto con cui ci interfacciamo. Ad esempio, proprio a Venezia, ci sono esperienze di lotta in cui l’interlocutore è il Demanio (come Poveglia x tutti), o casi in cui si stanno avviando percorsi con le università (come per il Ca’ tron), che vorrebbero fare chiarezza con le altre realtà della rete sugli strumenti e sui percorsi utilizzabili. Quindi lo scopo dovrebbe essere quello di immaginarci e condividere una pluralità di strumenti da utilizzare, più che individuare uno strumento ideale, migliore di tutti gli altri.

Da questa idea sono emerse quattro proposte di azione:
1. condividere il lavoro già fatto sui regolamenti e riaggiornarci per discuterne  su questo esiste una mailing list. Chi non è ancora iscritto al gruppo può richiedere l’iscrizione a benicomuni.incomune@gmail.com ;
2. costruire un glossario comune, per alcuni termini di cui discutiamo più spesso. Se non facciamo chiarezza su queste parole, rischiamo di darci etichette vuote, o diamo spazio a chi vuole strumentalizzare i nostri termini (ad es., beni comuni, partecipazione…)  su questo esiste una mailing list. Chi non è ancora iscritto al gruppo può richiedere l’iscrizione a benicomuni.incomune@gmail.com ;
3. sarebbe utile costruire insieme una raccolta delle buone e cattive pratiche, che possa diventare uno strumento condiviso utile per dare l’opportunità di comprensione degli strumenti giuridici anche a situazioni piccole, che non sono venute in contatto con la rete o che non hanno amministrazioni favorevoli al riconoscimento giuridico dei beni comuni.
4. come rete di livello nazionale dobbiamo iniziare a intervenire anche sul piano del dibattito nazionale, per porre dei nostri punti. In caso contrario, il rischio è che qualcuno pretenda di interpretarci dall’alto, che è un po’ il rischio dell’informalità. Lavoriamo su input normativi, che possiamo presentare come proposta di dialogo a chiunque voglia elaborare una proposta di legge nazionale sui beni comuni. Una parte di questi input vengono già scritti (vd. giù**), ma in ogni caso si tratta di un lavoro in progress.
Viene rilevato anche che per tutti questi ragionamenti c’è bisogno di un coinvolgimento profondo delle Amministrazioni, intese anche come parte tecnica, oltre che politica, perché i nuovi strumenti devono entrare a fare parte del patrimonio culturale di chi firma gli atti.
Prossimi incontri:

  • 30 settembre: assemblea a Torino organizzata da Assemblea 21 sul regolamento di Torino.
  • 5 ottobre – raduno nazionale di Fuori Mercato.
  • 12 ottobre a Napoli ci sarà un incontro del gruppo dell’Anci dei presidenti dei Consigli comunali, con un momento pubblico sui beni comuni. Interverrà Giuseppe Micciarelli come relatore e altri/e de l’Asilo per portare le proposte della rete nazionale e cercare di preparare un incontro.
  • 19-20 ottobre – incontro nazionale Non Una di Meno a Napoli
  • 6-7 dicembre: Labsus vorrebbe lanciare una piattaforma tra comuni con ANCI e ASVIS, con amministratori, ma anche livello politico. Fondazione innovazione urbana vuole portare anche i temi relativi alla partecipazione. Cerchiamo di tenerci in contatto per partecipare a quella data.

 

Infine, abbiamo bisogno di una pagina sito e Facebook, per comunicare in modo più chiaro e comprensibile. Altrimenti il rischio è che i lavori della rete siano noti solo per passaparola.
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** Input relativi al punto 4 delle proposte, da presentare come proposta di dialogo con chiunque voglia elaborare una proposta di legge sui beni comuni:
A) Uno spazio urbano o rurale può essere ascritto alla categoria dei beni comuni quando è caratterizzato da forme di uso e gestione collettiva finalizzate al godimento dei diritti fondamentali, inclusi quelli politici e sociali, della sua più ampia comunità di riferimento.
B) La tassonomia dei beni comuni non è esaustiva, essi possono emergere tra beni pubblici e privati materiali e immateriali che, esprimendo utilità funzionali all’arricchimento del catalogo dei diritti fondamentali, civili e sociali, si caratterizzano per una forma di uso e gestione dirette da parte di una comunità di riferimento ampia ed eterogenea.
Sono beni comuni necessari quei beni naturali o artificiali che in virtù del loro indissolubile legame con la dignità della persona non possono essere condizionati dalla disponibilità economica degli individui, che hanno il diritto ad accedervi. Pertanto, alcuni aspetti relativi alla loro gestione, modalità di fruizione dovranno essere decisi attraverso procedure istituzionali che abilitino la partecipazione effettiva e concreta dell’ampia platea dei loro fruitori o loro rappresentanti speciali. Ai soggetti, singoli o collettivi, titolari dei diritti di uso e accesso va riconosciuta una speciale legittimazione processuale e una tutela inibitoria diffusa anche al fine di salvaguardare i beni comuni per le generazioni future.
C) Corollario dell’uso e della gestione collettiva è un tipo di responsabilità civile e amministrativa diffusa tra i suoi fruitori. È dovere dei soggetti titolari dei diritti di proprietà agevolare l’accessibilità, l’uso e la gestione di un bene comune predisponendo adeguati strumenti per sollevare, ovvero integrare, gli oneri di manutenzione, cura e tutela di lungo periodo atte a garantire la sua conservazione per le generazioni future.
D) Coloro che si prendono cura dei beni comuni secondo criteri di inclusività, mutualismo e solidarietà svolgono una funzione di alto valore sociale. Pertanto, ogni violazione di legge penalmente perseguibile andrà valutata alla luce della presenza di un concreto danno a un valore costituzionale;
G) Le autorità locali sono tenute a favorire, anche economicamente, i processi di autorganizzazione civica e sociale, senza lederne l’autonomia in quanto tassello fondamentale per il pieno sviluppo della persona umana e la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale.
I) La presenza di forme di uso e gestione collettiva aperta di un bene pubblico dovrebbe scoraggiare la privatizzazione o vendita del bene stesso, in quanto è generativa di redditività civica, intesa come vantaggio collettivo non solo monetario, ma soprattutto sociale e culturale. In questo caso, l’Amministrazione sospende eventuali precedenti decisioni di alienazione, messa a reddito, dismissione o privatizzazione del bene e apre una procedura di confronto pubblico aperto alla comunità.
H) Il diritto di uso e civico collettivo spetta ad una collettività che deve essere ammessa istituzionalmente all’uso, alla gestione e al godimento diretti e non esclusivo dei Beni comuni. Tale diritto collettivo viene esercitato mediante apposite Dichiarazioni d’uso civico e collettivo, redatte con modalità rette dai principi di pubblicità, democraticità e porta aperta.
• bene comune è un bene relazionale a titolarità diffusa, generatore di comunità civiche. Pertanto il diritto di uso di un bene comune non può essere esclusivo; nel caso di rivalità l’uso di un bene è regolato da modalità stabilite secondo criteri inclusivi generati da processi di autonormazione civica

Report tavolo urbanistica
Iniziamo sulla scia di quello che si era discusso a Mondeggi durante il II incontro della Rete Nazionale dei Beni Comuni. In quel momento si era costituito un gruppo di lavoro che ora ,con le persone che a Venezia si sono aggiunte, potrà continuare la riflessione nell’ambito dell’urbanistica. Esiste già una mailing list di questo gruppo quindi i lavori possono continuare attraverso il google group urbanistica beni comuni (scrivendo a gruppo-nazionale-urbanistica-beni-comuni@googlegroups.com). Chi non è ancora iscritto al gruppo può richiedere l’iscrizione a benicomuni.incomune@gmail.com .
Ci chiediamo in che maniera gli usi urbanistici o gli standard possano entrare a rafforzare l’emersione dei beni comuni, oltre a servire come strumento per far fronte ai processi di privatizzazione. Non esiste a oggi uno strumento nel piano strategico o di interventi che permetta a un gruppo di persone di fare di uno spazio un bene comune (uso collettivo).

Nel 2018, ai 50 anni della 1444/68 si è riavviato il dibattito sugli standard urbanistici. Abbiamo parlato sulla nascita degli standard urbanistici. Tali standard nascevano dentro di una visione della nuova ‘citta pubblica’. In Italia il Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 descrive i “limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967 (pubblicato nella g. u. 16 aprile 1968, n. 97)”.

Nel tavolo abbiamo riflettuto sul fatto che per ragionare sugli standard si dovrebbe partire dagli usi. Pensando ai beni comuni e la maniera nella quale questi potrebbero dialogare con gli usi o gli standard urbanistici sono emerse le seguenti domande e riflessioni:

Il bene comune non è un edificio, ma un gruppo di persone che rendono tale edificio un bene comune esprimendo questa esigenza.

Ma potrebbero i beni comuni essere un posto a priori ed essere dichiarato tale per un gruppo di persone? Avrebbe senso una riserva di spazi nel piano urbanistico destinato a ‘bene comune’/ avrebbe senso una quota urbanistica dedicata ai beni comuni?

Che strumenti possono esserci dentro dei regolamenti urbanistici che possano dare ‘vantaggio’ a chi desidera rendere uno spazio un bene comune con rispetto alla concorrenza di altri attori con interessi economici? (come il caso della Vida)

Con rispetto alla concorrenza per l’uso di uno spazio fra persone che vogliono fare di questo spazio un bene comune e altri attori con interessi commerciali, ci si chiede come lo standard urbanistico possa giocare un ruolo che possa dare alle persone che vogliono rendere un bene comune

Il problema degli standard è che sono solo quantitativi. In che maniera i beni comuni e la loro ‘redditività civica’ possono entrare a dar peso all’interno della concorrenza per l’uso di uno spazio? Se gli standard urbanistici avessero anche aspetti qualitativi forse si riuscirebbe ad avere vantaggio del bene comune sull’uso privato o forse anche sul ‘pubblico’ (museo, ecc.).

Dalla discussione della prima giornata sono emerse in definitiva alcune questioni che affronteremo nei mesi successivi grazie a momenti di autoformazione e di avanzamento di proposte, per proporre delle soluzioni e dare supporto al tema dei beni comuni, in particolare:

a) STANDARD URBANISTICI
– cosa sono? Sono quantità minime (in mq) di spazi ed attrezzature d’interesse pubblico per abitante, obbligatori nei piani sia generali che attuativi. Definiscono quindi il rapporto tra pubblico e privato e sono strumenti di tipo quantitativo frutto della tradizione razionalista, introdotti con il D.M. n.1444 del 1968. Prevedono mq per attrezzature scolastiche, verde pubblico, parcheggi pubblici e attrezzature di interesse comune (culturali, religiose, amministrative, sanitarie ecc).
– perché ci interessano? dal tavolo è emerso che l’uso dei beni comuni potrebbe essere garantito come standard urbanistico, attraverso una quota di mq flessibile ad esso dedicato. La sfida è quella di superare il carattere rigido di questo strumento, traducendolo in chiave qualitativa e flessibile, socialmente identificato. Inoltre sarebbe utile capire qual è la spesa pubblica prevista per la realizzazione degli standards.
a.1) DESTINAZIONE D’USO Va garantita la possibilità che in ognuna delle diverse destinazioni d’uso prevista dalle norme attuative dei piani urbanistici “strutturali” vi sia la possibilità che di quell’immobile, bene, area si faccia anche un “uso civico”
b) VALORE CIVICO VS. VALORE ECONOMICO
In che modo è possibile, in presenza di manifestazione d’interesse per un bene pubblico da parte di una comunità e un privato, garantire il prevalere di criteri che premino la creazione di valore civico piuttosto che quello economico?
c) CITTA’ METROPOLITANE
Nel caso delle città metropolitane, fare leva sull’autonomia normativa e la potestà regolamentare delle città metropolitane per l’introduzione dell’uso civico.
d) OSSERVATORIO DEI BENI COMUNI
E’ possibile istituire un osservatorio di raccordo tra l’amministrazione e la comunità e di garanzia e vigilanza sui beni comuni? (idea ispirata all’esercizio che è stato proposto dalla del laboratorio di Ecologie Politiche del Presente, durante una conferenza che si terra’ il 17 aprile chiamato ‘Urbanistica e beni comuni’. L’esercizio consiste nel andare a vedere camminando lo stato ‘degli standard’ a Napoli )
e) Lavorare su precedenti (ad esempio a San Vito dei Normanni)
Proviamo a iniziare con amministrazioni piccole. Ci chiediamo in che maniera gli usi urbanistici o gli standard possano entrare a rafforzare l’emergenza dei beni comuni, oltre a servire come strumento per far fronte ai processi di privatizzazione. Non esiste a oggi uno strumento nel piano strategico o di interventi che permetta a un gruppo di persone di fare di uno spazio un bene comune (uso collettivo).
F) produrre materiale da pubblicare su rivista Eddyburg (ma prima concretizzare un nostro pensiero per non essere cooptat* dall’accademia)

Possibili date e temi per l’autoformazione (webinar)
PROGRAMMA PARZIALE PREVEDENDO CHE IL PROSSIMO INCONTRO (ANCORA IN DEFINIZIONE) SI FACCIA A MARZO

NOV_ WEBINAR SUGLI STANDARD

DIC- INCONTRO ONLINE: Discussione collettiva

GENNAIO_ WEBINAR SULLE DESTINAZIONI D’USO

FEBBRAIO_INCONTRO ONLINE: Discussione collettiva

MARZO_ IV INCONTRO RETE NAZIONALE BENI COMUNI