Non esisto dunque sono.
Altrove. Qui. Dove?
Carmelo Bene

#0

Il testo che segue è una raccolta di spunti e riflessioni a partire dal laboratorio sullo stato dei lavoratori dell’immateriale svoltosi a Napoli il 24/ 4/ 2012 presso l’Asilo della Conoscenza e della Creatività, organizzato dal Collettivo La Balena con la partecipazione del sociologo/artista visivo Maurizio Lazzarato. La discussione si è sviluppata intorno alla disamina critica del movimento degli intermittenti francesi durante il decennio 1992-2003. Dall’analisi di un’esperienza ancora unica nel suo genere, si è tentato di tracciare alcune rotte possibili per lo sviluppo del movimento di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale che sta irrompendo sulla scena politica culturale del paese da circa un anno.

Il testo è da considerarsi, quindi, uno spunto di riflessione che vuole essere stimolo e non approdo. Una possibile deterritorializzazione capace di intravedere contrade a venire.

#1 Definizioni?

I lavoratori dell’immateriale sono un insieme composito di attività professionali che contribuisce  alla crescita dell’industria culturale, della conoscenza, dello spettacolo e dell’intrattenimento, attraverso pratiche e saperi che hanno trovato forma nella smaterializzazione della produzione e nella fusione tra elementi del pensiero e della rappresentazione.
I campi professionali sono decisamente estesi (autori, attori, grafici, ricercatori, editor, registi, tecnici audiovisivi, maestri delle arti di scena etc. etc.), e preferiamo chiamarli appunto “campi” e non “categorie” proprio per sottolineare la capacità mimetica e intersecante delle diverse attività piuttosto che la rigidità di saperi e pratiche che specificano gli ambiti lavorativi.
Ciò che rende simili i diversi lavoratori dell’immateriale è la consapevolezza di aver oltrepassato la soglia e i confini del lavoro salariato di tipo classico caratterizzato da:

1)    forma contrattuale definita
2)    rapporto di subordinazione ad un padrone/proprietario definito
3)    compito e ruolo definito nel mercato del lavoro

Le lavoratrici e i lavoratori dell’immateriale svolgono attività non specifiche all’interno dell’ambito creativo e culturale, intersecano saperi ed esperienze, mettono in comune un desiderio pratico che vuole oltrepassare la stabilità, praticano un’attività desiderante capace di garantire creazione e reddito. Le forme del lavoro classico non sono adeguate alla definizione delle attività dell’immateriale, così come le diverse tipologie di garanzie sociali non riescono più a coprire l’insieme di una comunità di lavoratori che vivono, oggi, le conseguenze di un processo di ricomposizione del capitale avviato alla fine degli anni ’80 del Novecento. La categoria dell’immateriale, però, non ha trovato ancora un grado zero di definizione politica, tuttavia ha alcune caratteristiche costitutive:

1)    un livello diffuso di alta formazione e specializzazione professionale
2)    l’impossibilità di rispondere a parametri di “pieno impiego”
3)    la capacità di dar vita – seppur breve – a forme di autorganizzazione, autoproduzione e autoinchiesta che hanno costituito i primi passi verso la definizione di ambiti e prospettive di lotta ancora inesplorati.
4)    Unificazione del tempo di lavoro a quello del non lavoro in un continuo processo di ideazione e formazione.
5)    Centralità della risorsa tempo come campo di lotta del divenire. Il salario che si percepisce, troppo di frequente ormai, non è più proporzionale al tempo di lavoro effettuato.
6)    il lavoro culturale – nello specifico – non può che essere deficitario e slegato da elementi di profitto tesi alla produzione di plusvalore economico. Ciò che viene valorizzato è il processo di sviluppo dell’identità culturale dell’intera comunità

#2 Le categorie professionali

Il movimento che attraversa da circa un anno diversi territori del paese, vede la mobilitazione di diverse figure, in primo luogo gli attori e i tecnici del teatro che hanno visto la frantumazione del già debole impianto di assicurazione sociale e garanzie lavorative. In questo le similitudini con il movimento degli intermittenti francesi (1992-2003) sono significative, e vanno nella direzione di uno sviluppo della critica delle specializzazioni categoriali: il problema non è definire ambiti corporativi ma trovare elementi di analogia e cooperazione tra le diverse attività. Se, infatti, il mondo del teatro è stato il motore propulsivo da cui sono partiti gli stimoli di mobilitazione, bisogna ora trovare le modalità di coinvolgimento di tutte le altre attività che contribuiscono alla produzione di senso e conoscenza.
Il lavoro artistico è caratterizzato da un altissimo livello di disuguaglianza che vede grosse concentrazioni di profitto a svantaggio di una massa di lavoratori che non godono di nessun meccanismo di redistribuzione. L’assenza di standard minimi salariali così come di massimali di guadagno, rendono l’ambito immateriale una contea della discrezionalità, del ricatto, del vincolo tra creazione e profitto. L’assenza di reddito minimo slegato dai risultati effettivi rende il territorio dell’immateriale il luogo in cui le relazioni di potere e gerarchiche possono esprimersi senza alcun controllo né coerenza ma soltanto attraverso pratiche di cooptazione discrezionale che mortifica autonomia e senso critico. Il mercato e le sue digressioni paranoiche schiacciano le individualità in un territorio disomogeneo, stimolano un conflitto strisciante e a bassa intensità governato dall’enunciato (base della concorrenza di matrice capitalista) Homo, homini, lupus.
La mobilitazione dei lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale tende, al contrario, verso l’elaborazione di un modello di mutualismo e cooperazione di tipo nuovo in grado di oltrepassare le rivendicazioni minime di categoria e porsi come coefficiente comune di un insieme composito di bisogni, necessità e desideri che muove verso l’estensione e la diffusione di una logica redistributiva in cui reddito e tempo siano garantiti come condizione necessaria per lo sviluppo delle capacità e conoscenze professionali. Il primo obiettivo insomma, può essere l’eliminazione degli elementi strutturali di disuguaglianza che caratterizzano il sistema produttivo e di assicurazione sociale delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale. Il capitale  ci costringe a diventare padroni della nostra povertà (di reddito) e subordinati di noi stessi. Siamo dei poveri messi al lavoro!

#3 del dominio e del sabotaggio

Il dispositivo di controllo e dominio del mercato del lavoro immateriale teso all’impauperimento dei lavoratori può essere interrotto immaginando delle pratiche di sabotaggio e interruzione della produzione. Come? Attraverso lo sviluppo della mobilità territoriale degli attivisti (esempio per altro già osservabile nelle dinamiche delle recenti occupazioni di Napoli e Palermo) e il tentativo di dar vita a forme radicali che superino le mere occupazioni di spazi fisici per slittare verso altre pratiche, ad esempio l’interruzione di eventi straordinari (Festival), il sabotaggio dell’ordinario (spettacoli di cartellone, trasmissioni radio-televisive, pubblicazioni etc.). Entrambe le prospettive necessitano, però, del coinvolgimento dell’intera struttura lavorativa che soggiace alle organizzazioni, in primo luogo i lavoratori del settore tecnico-strutturale del teatro, dello spettacolo, dell’informazione.
Le domande a cui rispondere per poter immaginare il sabotaggio e lo sciopero a venire sono: Come bloccare un Festival o un Concerto? Come impedire la messa una messa in onda radio televisiva? Come rallentare la produzione di un film o l’uscita di un testo? Come intervenire sul lavoro dell’informazione quotidiana?
L’assenza di un luogo fisico circondato da cancelli e cadenzato da ritmi e turni (la fabbrica ad esempio) è una delle difficoltà che rende il sabotaggio al tempo della produzione immateriale, un’attività composita che ha bisogno di declinazioni e riposizionamenti tattici continui. Ma soprattutto, chiama in causa i corpi e le soggettività professionali dei lavoratori: come agli albori del capitalismo chi prova a interrompere il ciclo produttivo è minacciato dalla definitiva espulsione dal meccanismo di produzione di salario. Il rischio è tanto più alto quanto le azioni collettive sono basate sul protagonismo individuale. Allargare la base di consenso della lotta significa mettere in crisi posizioni e certezze (economiche e soggettive) minime ma acquisite, richiede quindi un coinvolgimento totale, una messa in discussione del singolo da cui scaturisce l’azione collettiva. Non c’è classe a difendere gli individui.
Il sabotaggio e lo sciopero diventano allora esercizi di irrobustimento del corpo e dello spirito, pratiche di soggettivazione della lotta in divenire, o altrimenti degli atti coordinati di interruzione che mettono a repentaglio l’attività di molti. Allargare la composizione di coloro che interrompono diventa il momento centrale di un primo movimento in direzione di un’affermazione collettiva dell’esistenza professionale e sociale di lavoratori e lavoratrici di tipo nuovo.

#4 I mezzi di produzione

Il sabotaggio può essere anche declinato in una pratica di riappropriazione dei mezzi di produzione. Quali sono i mezzi di produzione del lavoro immateriale? Computer, impianti audiovisivi? Luci? Palchi? Libri? La rete? Banchi i montaggio e cineprese? Microfoni? Software?
La varietà dei mezzi di produzione rispecchia la complessità del settore (dei settori…) e pone un’ulteriore questione: oltre agli spazi fisici c’è un bisogno impellente di riappropriarsi di mezzi di produzione che possano essere utilizzati da più persone, in modo da interrompere la costruzione di monadi produttive non comunicanti tra loro. Uscire dai propri loculi (stanze, studi, uffici) significa poter cooperare alla produzione utilizzando un capitale fisso che non è più proprietà di un singolo ma di insieme di individui. Mettere in circolo modi d’uso e saperi specifici a partire dal riutilizzo delle strumentazioni acquistate con denaro pubblico per eventi limitati nel tempo che espongono quindi i mezzi di produzione ad un utilizzo limitato e senza ricadute redistributive nel tempo e nello spazio.
Noi, lavoratori dell’immateriale, siamo gli esperti del nostro mestiere, ci aggiorniamo di continuo e dobbiamo imparare a trasmettere e ibridare le nostre competenze, dando vita ad un processo di continua formazione e autonomia dal dominio dell’autismo dell’esperto.
I mezzi di produzione abbandonati in strutture pubbliche non utilizzare sono sprechi comparabili a quegli immobili nati con identità speculativa e divenuti delle cattedrali nel deserto. Le nostre metropoli (e paesi) sono piene di mezzi di produzione sottratti ai lavoratori che sono obbligati a individualizzare il proprio capitale fisso. Ognuno è chiamato a fornirsi di strumentazione personale, a partecipare, quindi, ad uno sterile consumo tecnologico dai parametri economici difficilmente sostenibili. Con l’acuirsi della crisi economica e il progressivo inaridimento del reddito individuale diverrà sempre più complesso riuscire a restare aggiornati, al passo con le trasformazioni produttive. Se il software si può acquisire attraverso pratiche di pirateria legittima, ogni hardware sarà sempre più caro e inaccessibile diventando uno di quegli elementi strutturali di disuguaglianza del lavoro creativo e cognitivo. La riappropriazione dei mezzi di produzione dell’immateriale è alla base dello sviluppo di pratiche di lavoro cooperativo (co-working) di tipo nuovo e fattore strutturale del campo di lotta di soggettività ancora (in)esistenti. La pratica che, forse, ci permetterà di uscire dalla prospettiva di resistenza e difesa degli spazi per incamminarci su sentieri di assalto e affermazione di modalità e pratiche produttive autonome, in grado di mettere in crisi la produzione di plus-valore della (non)fabbrica immateriale.
Ciò che oggi è stato definito post-fordismo sembra, in realtà, un ritorno allucinatorio al capitalismo fondamentalista ottocentesco in cui i lavoratori erano delle ombre al lavoro in una giungla di macchinari. Siamo il quinto stato di un futuro remoto, sta a noi decidere se essere olio o sabbia nell’ingranaggio del profitto. Proviamo ad osare e agire come lavoratori immateriali del mondo.

Guarda i video dell’incontro con Maurizio Lazzarato

Inchiesta sul lavoro immateriale – Intermittenti francesi – oltre le singole categorie [1/5]

Inchiesta sul lavoro immateriale – Intermittenti francesi – azioni di lotta [2/5]

Inchiesta sul lavoro immateriale – il sussidio è un finanziamento democratico [3/5]

Inchiesta sul lavoro immateriale – Intermittenti francesi – inadeguatezza del sindacato [4/5]

Inchiesta sul lavoro immateriale – intermittenti francesi – i sussidi [5/5]


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