Quando, dieci mesi fa, abbiamo occupato la sede del Forum universale delle culture, si veniva da un anno importante, in termini di conflitto, per questo paese: larghissima la vittoria del Referendum per l’acqua pubblica; l’emergere pieno, nel lessico pubblico nazionale, del tema dei beni comuni e del processo politico in essi implicato; la vittoria di alcune amministrazioni, tra le quali quella napoletana, che si sono presentate fin dall’inizio come esperienze radicali e di rottura con la “vecchia” politica e, soprattutto, la nascita di un movimento di ricomposizione delle istanze delle lavoratrici e dei lavoratori delle arti, dello spettacolo, della cultura, dell’immateriale e la contestuale riappropriazione di teatri e spazi abbandonati e/o sottoutilizzati, in uno scenario economico e politico in cui dopo gli scellerati tagli degli ultimi anni, l’arte e la cultura scompaiono da qualsiasi “agenda” governativa, la disoccupazione dilaga e le risorse disponibili vengono concentrate, come nel caso scandaloso della Regione Campania, nelle mani di pochi “monarchi” che attuano gestioni privatistiche e clientelari.

Partire dalla congiuntura storica e politica che fa da sfondo al momento iniziale della nostra inevitabile e necessaria azione di auto-organizzazione e di riappropriazione ci permette di chiarire alcuni elementi essenziali, a partire dalla questione, a nostro avviso fondamentale, della elaborazione di nuove istituzioni “comuni” e di una prassi politica conflittuale finalizzata a dare vita ad un processo costituente, sulla base della convinzione che solo una gestione diretta, inclusiva, radicalmente democratica e partecipata possa trasformare realmente, superando il pantano della retorica, un bene pubblico in un “bene comune”.

Per questo rivendichiamo la pratica della riappropriazione diretta degli spazi e degli strumenti di lavoro negati dalle logiche del mercato e del profitto e dalla gestione partitica delle risorse pubbliche. Per questo, contemporaneamente, abbiamo portato in tutte le sedi, anche istituzionali, la nostra prassi quotidiana e gli sforzi di elaborazione teorica autonoma: per creare una nuova istituzionalità, una nuova forma che potesse trovare spazio non solo nella legittimità politica, ma anche in nuove regole magari utilizzabili da altre esperienze sociali.

Questo ha permesso che nell’ex Asilo Filangieri una collettività eterogenea, plurale e aperta gestisse in modo radicalmente democratico e includente uno spazio che, fino a quel momento, sulla base dell’eterna logica del “grande evento” aveva permesso a pochi politici di oliare clientele e gestire ingenti fondi pubblici in “splendida solitudine”. Una prassi ancora più importante in un momento di crisi economica determinata dalle politiche neoliberiste: creare forme di welfare dal basso è un mezzo fondamentale per l’organizzazione sociale e politica di lavoratrici e lavoratori che altrimenti verrebbero esclusi e marginalizzati dalle logiche del mercato.

In questo contesto la creazione, a Napoli, di un Assessorato ai beni comuni e alla democrazia partecipata ci è parsa un’occasione storica per erodere sovranità alle istituzioni costituite e redistribuirne ad istituzioni popolari nascenti. Ci è sembrato naturale, quindi, aprire un confronto pubblico con questa Giunta sul terreno del riconoscimento della gestione diretta (e dunque partecipata) dell’ex Asilo Filangieri. Ciò ha portato, nel maggio 2012, all’approvazione di una delibera che ha riconosciuto il ruolo sperimentale di una comunità di riferimento nella gestione dell’ex Asilo.

Tuttavia, contestualmente, abbiamo riscontrato il tentativo sotterraneo e mai esplicito di imbrigliare questo processo in quadro giuridico legalistico burocratico ed incoerente, in particolare tramite l’approvazione unilaterale da parte della Giunta di un protocollo disciplinare che, di fatto, sulla base di orari restrittivi e ambiguità, ostacolava piuttosto che agevolare le attività artistiche e culturali dell’ex Asilo. Questa assurda pretesa di regolare in modo contraddittorio la sperimentazione in atto è sempre stata respinta in assemblee pubbliche e partecipate da centinaia di persone, costringendo lo stesso assessore Lucarelli presente, a prendere atto dell’inadeguatezza e della reale inapplicabilità dello stesso.

Intanto, contro la triste prudenza e l’immobilismo comunale abbiamo praticato e regolamentato una diversa forma di governo partecipato del bene pubblico, ossia l’uso civico applicato all’ex Asilo Filangieri, che ha permesso di garantire gratuitamente e a rotazione non solo sale, mezzi di produzione e strumenti in modo alternativo alle logiche della concessione e dei favori clientelari, ma anche organizzare luoghi di confronto e mutualismo economico ed artistico tra lavoratori di diversi ambiti culturali.

Per queste ragioni è assurdo e meschino accusare, come fatto sorprendentemente dall’assessore Lucarelli, la collettività che vive e attraversa l’ex Asilo Filangieri di «uso privatistico e commerciale» dello spazio. Questa posizione, oltre ad essere evidentemente falsa, è oltraggiosa per il tempo e il lavoro volontari che sono alla base delle attività dell’Asilo.

Ciò che a questa Giunta “rivoluzionaria” forse sfugge è il fatto che nuove prassi politiche e nuove norme devono trasformare necessariamente l’ordinamento vigente: è da sciocchi, o peggio da mistificatori, pensare che per creare nuove istituzionalità e fare la “rivoluzione dei beni comuni” basti inserire un articolo nello statuto del comune o chiamare una consulta ogni due mesi. Se bastasse questo sarebbe stato sufficiente eleggere un amministratore di condominio e compilare i protocolli esistenti per l’utilizzo delle sale pubbliche, senza riempirsi la bocca di parole come innovazione e rivoluzione.

L’esperienza dell’ex Asilo, in questo senso, ha fatto emergere pienamente la contraddizione di una Giunta che pur avendo inserito i “beni comuni” nello Statuto del Comune e pur presentandosi a livello nazionale come esperienza di rottura, poi nella prassi non ha voluto liberarsi delle vecchie logiche burocratiche, legalistiche e politiciste che hanno caratterizzato vecchie esperienze fallimentari.

Questa posizione oramai evidenzia la volontà di strumentalizzare a propri fini elettoralistici un’esperienza di cui si è rivendicato l’apprezzamento in altre sedi e momenti evidentemente più “comodi”, magari fuori Napoli. Invece pensiamo che le strade siano altre, per questo abbiamo convocato regolarmente per 5 mesi un tavolo di lavoro pubblico che ha discusso di nuove regole che partissero dalla prassi esistente, ed ha prodotto una prima bozza di una nuova forma di regolamento pubblico.

Un’amministrazione che si pretende seria e innovativa avrebbe riconosciuto questo processo rimuovendo gli ostacoli burocratici che hanno alimentato attacchi e denunce pretestuose che alla fine hanno portato l’autorità giudiziaria a disporre il sequestro cautelare del terzo piano con il pretesto dell’agibilità.

L’agibilità e la sicurezza degli spazi pubblici – non solo dell’ex asilo Filangieri ma anche di scuole, teatri, ospedali – sono per noi una priorità. Proprio per questo siamo noi a sollevare la contraddizione su come sia possibile che 8 milioni di euro di soldi pubblici spesi per la ristrutturazione dell’immobile non siano stati sufficienti a renderlo agibile. Viene da chiedersi come mai quei pochissimi eventi e concerti organizzati dal forum delle culture non sono stati fermati. L’agibilità è solo una firma? Una foglia di fico con cui far entrare gli amici e far uscire tutti gli altri? È evidente che questo sia solo un pretesto poiché l’unica cosa da fare era, e resta oggi in modo ancora più urgente, agire concretamente per permettere a tutti i lavoratori e semplici fruitori dello spazio di viverlo in sicurezza, onere che spetta in tutta evidenza ai proprietari dei locali e non a chi ha già – gratuitamente e senza alcun profitto personale – animato questi spazi che continueremo a difendere con i nostri corpi, le nostre idee, la nostra lotta creativa.

Ex Asilo Filangieri / Comunità dei lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale