Forum delle Culture Occupato | Napoli
Città in affitto
Grandio eventi e trasformazioni urbane
venerdì 9 marzo 2012
incontro pubblico
Sono intervenuti: Pietro Nunziante, Paolo Cascone, Chiara Ingrosso, Dopolavoro.org

Il Forum può essere un momento per la cultura e l’arte ma anche momento di trasformazione urbana.
A Barcellona il Forum fu inventato e celebrato nel 2004 e si iscrive in una logica di trasformazione delle grandi città che inizia in realtà nell’800. Nel 1992 già le Olimpiadi riconvertirono il famoso fronte mare e Barcellona, famosa città industriale, taglia col passato e suggella la sua risurrezione. La giunta socialista all’epoca al potere ricostruisce interamente la città. È così che Barcellona attraverso finanziamenti incredibili sperimenta un nuovo modello di gestione: da un lato ci si occupa della sfera dell’immateriale (i giochi e la cultura) dall’altra parte creano una funzione più prettamente urbanistica.  Si ricostruì completamente la Via Olimpia e si realizzarono numerosi musei tra cui il Raval. Attraverso grosse operazioni di marketing urbano l’immagine di Barcellona cambiò incrementando così soprattutto il turismo. La matrice socialista dalla fine degli anni 80 vede nei grandi eventi un modo per accaparrarsi fondi e infatti nel 1996 dopo l’esperienza delle Olimpiadi ci si inventa un’altra occasione per canalizzare fondi: è così che nasce il Forum Universale delle Culture.

Il Forum fu organizzato da un consorzio formato da Comune, Regione, Governo spagnolo e Unesco – e da una struttura operativa che al Comune, Regione e Governo si aggiungevano anche alcuni privati.
La città si trasforma ancora investendo molto sull’edilizia.
Ma la crisi economica lascia all’incirca 818.000 case vuote perché non riescono ad essere vendute mentre in media 18 famiglie al giorno vengono cacciate dalle loro case .
Chi ha detto che l’arte crea coesione? E se accelerasse i conflitti?

Il Forum a Napoli

Le politiche dei grandi eventi sono politiche calate dall’alto che non hanno niente a che fare con le trasformazioni radicali di pratiche che iniziano dal basso.
Non esiste narrazione rispetto a come si è arrivati all’assegnazione del Forum a Napoli.
Si potrebbe pensare a un Forum che si basi sulla creatività e sui saperi e che attraverso la coesione urbana e territoriale crei le condizioni per la formazione del cittadino europeo. Bisogna cercare il rilancio della città  cercando di capire quali sono i meccanismi che andiamo a criticare e tenendo presente che a Napoli non solo la pianificazione è senza progettualità ma che anche il grande evento è vuoto. Potrebbe essere utile in tal senso ricostruire le tappe della storia napoletana a partire dal grande evento del G8 del 1994.
Il processo spontaneo e autorganizzato dovrebbe partire dal lavoro immateriale per giungere al lavoro materiale e ricongiungere così la teoria attraverso la pratica.
L’Ecologia urbana deve fare da ponte tra cultura e territorio.
L’architettura a Napoli è tabù. Gli architetti devono creare un contesto.
Il Forum dovrebbe creare sinergia tra cultura materiale e cultura immateriale pensando magari a creare distretti creativi, piccole infrastrutture fortemente volute dal basso, piccoli eventi con la partecipazione del territorio, perché le strutture piccole possono provocare dal basso dei processi di trasformazione.
L’ ecologia deve essere ambientale e mentale.

E veniamo a noi…

Come incidere su spazi residuali con l’ambizione che questa pratica possa diventare elemento di provocazione culturale?
Dobbiamo radicalizzare le questioni.
Il Comune non ha soldi per collaudi statici. Potrebbe essere utile una mappatura dei beni: il problema è che non esistono procedure giuridiche che consentano ai soggetti di rimanere nei luoghi conquistati con pratiche di riappropriazione.
Quale può essere una formula contrattuale nuova?
E’ il metodo con cui si promuove la cultura che è sbagliato.
Ricominciamo a relazionarci. Dobbiamo rivendicare un modo nuovo.
La cultura non cresce in ambienti competitivi, non può essere la competitività il termine per promuovere la cultura.
Autogoverno vuol dire autodeterminarsi, perché abbiamo la possibilità di reinventare anche le regole.
Siamo qui a costruire qualcosa che è in continuo movimento.
La partecipazione assicura l’allargamento della base partecipativa.
Come si fa a dare valore a delle pratiche di riappropriazione staccandosi dalle organizzazioni malavitose che spesso le gestiscono?
Dobbiamo trasformare lo straordinario in ordinario e puntare alla
sottrazione di sovranità.