giovedì 18 dicembre 2014 h 16 | l’asilo

EMERGENZA EBOLA
INCONTRO CON MEDICI SENZA FRONTIERE

Intervengono:
Stefano Zannini
direttore supporto alle operazioni MSF Italia

Maria Cristina Ercolessi
professore associato di sistemi e politiche sociali dell’Africa contemporanea dell’università degli studi di Napoli l’Orientale

 

Sotto le ingombranti tute protettive ci sono uomini e donne che lavorano giorno e notte per affrontare l’epidemia di Ebola in Africa Occidentale. Non esiste ancora nessuna medicina per curare i malati, nessun vaccino per proteggere le popolazioni a rischio. L’unica cosa che possono fare è fornire una terapia di supporto ai pazienti, per aiutarli a vincere la lotta contro il virus. È un lavoro estremamente duro, da un punto di vista sia fisico che psicologico. L’equipaggiamento protettivo si compone di diversi elementi: stivali, tuta, maschera, cappuccio, grembiule, occhiali e due paia di guanti. Per indossare la tuta bisogna rispettare una procedura rigorosa, poiché neanche un millimetro di pelle deve essere esposto. Si entra nella zona di vestizione sempre in coppia, in modo da controllarsi a vicenda. Una volta protetti da questa “armatura” bisogna lavorare con rapidità ed efficienza, perché dopo un’ora si è  zuppi di sudore. Questo abbigliamento rende irriconoscibili. Molti medici e infermieri scrivono il loro nome sulla tuta per creare maggior contatto con i pazienti che in questo modo possono riconoscerli. In alternativa, utilizzano dei simboli per identificarsi e non essere mai anonimi, come dei fiori per esempio. Un’assistenza di qualità consente di ridurre il tasso di mortalità dell’Ebola fino al 50%. Il 50% – un paziente su due ammessi al centro – è un risultato straordinario, soprattutto quando si salvano delle vite. Le possibilità di sopravvivenza aumentano significativamente quando i pazienti si recano con tempestività al centro al comparire dei  primi sintomi. Purtroppo, questo accade molto di rado. Spesso i pazienti arrivano quando si trovano già nella fase terminale della malattia. Tutti gli operatori vivono storie tragiche legate alla morte di alcuni pazienti o si trovano a prendere decisioni difficili. Il virus non risparmia nessuno, neanche i più giovani. I pazienti che sopravvivono sono il più forte incoraggiamento. Ogni sopravvissuto rappresenta una vittoria sulla malattia, un simbolo di gioia e speranza sia per gli altri malati, sia per i membri di tutta l’équipe. Per questo motivo, la guarigione di un paziente e l’autorizzazione affinché lasci il centro sono momenti molto importanti nei centri MSF.
Sono più di mille i pazienti guariti che medici senza frontiere ha curato nei progetti in Guinea, Sierra Leone e Liberia. Alcuni, quando sono stati dimessi, hanno ballato per la gioia.