Il contagio. L’Italia dei teatri in rivolta

di Tiziana Barillà

Su Left http://www.left.it/2012/05/31/il-contagio-litalia-dei-teatri-in-rivolta/4005/

Roma, Venezia, Catania, Napoli, Palermo e Milano. I teatri riaprono grazie alle occupazioni pacifiche dei lavoratori.  Che dialogano con le istituzioni e propongono un nuovo modello di economia

Tempo scaduto. Artisti e maestranze stanno riaprendo i teatri chiusi per incuria o speculazione. Perché, dicono, «la bellezza non può attendere». Sono giovani, e precari, e un anno fa entrando al Valle di Roma avevano avvisato: occuperemo un teatro in ogni città. Non era una minaccia ma una promessa e lo stanno facendo in tutto il Paese: Venezia, Catania, Napoli, Palermo e Milano. E adesso puntano al riconoscimento istituzionale. Sperimentano una nuova economia culturale contro i tagli al mondo dell’arte e del sapere, stando in rete. I rivoluzionari dell’arte si danno appuntamento il 22, 23 e 24 giugno al Valle, ci saranno anche l’ex Cinema Palazzo di Roma, l’assemblea permanente di Bologna, i lavoratori del cinema di Torino e tutte le realtà culturali “in agitazione”.

Roma. Il Valle è il teatro più antico della Capitale, chiuso dopo la soppressione dell’Ente teatrale italiano. Dal 14 giugno 2011 – giorno successivo alla vittoria referendaria dei sì per l’acqua pubblica – lo spazio è gestito da 850 volontari che si oppongono alla privatizzazione. Solo nel primo anno si sono alternati sul palco 1.800 artisti tra cui Peter Stein, Franca Valeri, Vinicio Capossela, Stefano Bollani. Tante le code lungo via del Teatro Valle, perché qui non si fa il biglietto ma la fila all’ingresso, fino al raggiungimento dei 600 posti, e si “contribuisce” secondo possibilità. Ora è tempo di bilanci e i numeri non mancano: 285 serate per 100mila spettatori e, soprattutto, l’orgoglio di essere stati la miccia e il catalizzatore delle realtà in agitazione nel resto del Paese. «Un’esperienza nuova», precisa Fulvio del Valle (come tutti, chiede di essere indicato solo per nome) che nel collettivo ha un ruolo preciso, quello di partire da Roma alla volta di ogni città in cui il fermento si traduce in azione. «La cultura è un bisogno umano, non solo intrattenimento. Qui si fa cultura e si fa per tutti, perciò lo spazio è aperto 24 ore su 24». Ma la vera novità è il “sì” al dialogo con le istituzioni. Il Teatro Valle si è costituito in Fondazione e adesso punta a raggiungere un capitale di 250mila euro. «Siamo a buon punto», rassicura Benedetta, «dopo 4 mesi abbiamo raggiunto 4mila sottoscrizioni per 120mila euro. Quando ci presenteremo alle istituzioni per noi sarà importante dire: Eccoci, siamo in tanti».

Venezia. Tre mesi dopo l’occupazione romana, la primavera dei teatri sbarca in laguna: i precari della cultura del collettivo Sale Docks occupano il Marinoni, l’unico teatro del Lido di Venezia. Un piccolo palazzo in stile libertydi circa 300 posti, nato come ricreatorio per i degenti dell’ex ospedale. Fatta eccezione per le attività del Marinoni, l’intera area oggi è abbandonata. Per questo occupanti e cittadini stanno raccogliendo le firme per una petizione popolare contro la speculazione edilizia. Il collettivo veneziano non è nuovo a queste esperienze. Già nel 2007 avevano occupato gli antichi magazzini del sale della Serenissima, uno stabile del ’400 in pieno centro storico. «Venezia non è più una città-museo ma un centro importante dell’economia culturale», dice Marco del Sale Docks. Negli ultimi anni, infatti, sono state investite ingenti risorse: come i 30 milioni di euro per il maestoso Museo della Dogana, la nuova galleria d’arte contemporanea voluta dal magnate della finanza e dell’industria del lusso François Pinot. «La nostra “fabbrica della cultura”, invece, è sorretta da lavoratori precari e stagisti, un enorme bacino di manodopera gratuita», spiega ancora Marco. Gli artisti del Sale Docks non temono concorrenza e in questi giorni ospitano la mostra del collettivo russo Voina, la cui opera è un’azione di continua protesta contro Putin e il suo sistema. Oggi gli occupanti hanno ottenuto dal Comune l’assegnazione temporanea dei magazzini, un riconoscimento dopo 5 anni di lavoro e il costante dialogo con le istituzioni.

Catania. Intanto in Sicilia nasce L’Arsenale, la federazione che unisce i lavoratori della cultura e dello spettacolo di tutta la regione. E a Catania, alcuni di loro riaprono il cantiere abbandonato del Teatro Coppola, primo teatro comunale della città. «Da molto pensavamo a una cosa simile», spiega Monica che al Coppola – Teatro dei cittadini ci lavora. «Per ridare dignità al lavoro nel mondo dello spettacolo, dell’arte e della cultura». Al loro ingresso, lo scorso dicembre, trovano ciò che resta di un teatro del 1821, quasi del tutto distrutto dai bombardamenti americani del ’43 e poi usato come laboratorio o magazzino al servizio di altri teatri. «Ci sono voluti 5 mesi di lavoro per metterlo a posto», prosegue Monica. «Adesso abbiamo un palco vero, le quinte, ma continueremo a lavorare per migliorarlo». Teste dure i siciliani, che sin dall’inizio hanno affiancato ai lavori in cantiere gli spettacoli serali: di giorno lavoro manuale e di sera in scena. E così ogni giorno, per 5 mesi. In programmazione soprattutto tanta buona musica: oltre al cantautore Cesare Basile, tra i promotori, anche Marco Parente, Dente, gli Afterhours. Oggi tanti catanesi partecipano alle attività del Coppola: «Hanno capito che questo luogo non è degli occupanti ma il loro».

Napoli. Non è un teatro ma presto l’ex Asilo Filangieri, patrimonio dell’Unesco, diventerà un centro di produzione artistica. «Lo abbiamo riaperto», spiega Ugo del collettivo La Balena, «per muovere una forte critica alla gestione dei finanziamenti pubblici destinati alla cultura». Si tratta di un palazzo storico del ’600, tre piani nel centro storico partenopeo, ristrutturati in vista del Forum delle culture del 2013. Ma tutto continuava a rimanere chiuso. Fino al 2 marzo quando i lavoratori dell’immateriale di Napoli decidono di riaprirlo. Doveva durare solo tre giorni l’occupazione simbolica, ma «ogni giorno 400 persone dicevano rimaniamo, e siamo rimasti». Lo spazio dopo un restauro di un milione di euro è estremamente attrezzato, eppure all’ingresso c’è affissa una lista di cose da acquistare, «una sottoscrizione con l’idea di un bilancio partecipato, perché chi contribuisce deve sapere come spende i suoi soldi». Nel rapporto con le istituzioni Napoli ha un vantaggio: «Un assessorato ai Beni comuni con il quale siamo in contatto e in dialogo», spiega Ugo. Gli occupanti hanno costituito un tavolo, grazie al supporto di giuristi come Ugo Mattei e filosofi come Maurizio Zanardi, per elaborare una proposta all’amministrazione. «Vogliamo che questa esperienza sia duratura e permanente ». In questi giorni il Comune ha approvato una delibera a tutela dell’ex Asilo. Ma sul regolamento la partita non è ancora chiusa.

Palermo. Il 13 aprile arriva il secondo colpo in terra siciliana. Il Garibaldi, inaugurato dall’eroe dei due Mondi nel 1861, è uno dei teatri più antichi di Palermo. Nei secoli ha avuto alterne fortune, da teatro europeo d’eccellenza fino a diventare sede di corse clandestine. Dopo una ristrutturazione di 5-6 anni, costata 4 milioni e 600mila euro, nel 2009 è stato inaugurato e subito richiuso. «Lo abbiamo scelto come simbolo dell’inefficienza e degli sprechi», ci spiega Roberto del Teatro Garibaldi Aperto. «Il nostro è un modo di intendere la cultura che non crea business e non vuole ridurre la valutazione culturale al valore economico. I soldi per la cultura si spendono, ma si spendono male secondo dinamiche e criteri non trasparenti». Il vero problema al Garibaldi è riuscire a contenere tutti perchè l’abbraccio della città è stato enorme. E i contributi artistici di qualità: da Mario Venuti a Giovanni Sollima. Ma soprattutto tanti spettacoli e laboratori teatrali con maestri d’eccezioni come Emanuele Crialese, Giovanna Amarù e Giuseppe Massa. Eppure pochi giorni fa uno degli occupanti ha ricevuto un avviso di garanzia con l’accusa di danneggiamento e occupazione di edificio pubblico: «I temi da noi sollevati non si possono ridurre a una questione di ordine pubblico», si difende Roberto. Il nuovo sindaco Leoluca Orlando si è già espresso a favore del Garibaldi. «Aspettiamo un riconoscimento formale, la nostra è un’azione sicuramente illegale ma, siamo convinti, legittima».

Milano. Travagliata è invece la vicenda milanese, inaugurata il 5 maggio dai lavoratori dell’arte di Milano. Dapprima occupano il grattacielo Torre Galfa dichiarando aperto il nuovo centro per le arti Macao. La notizia fa il giro d’Italia e in tanti passano a visitare la struttura, da Dario Fo a Lella Costa. «Si potrebbe anche pensare di volare», avevano commentato. E invece dieci giorni dopo arriva lo sgombero, gli occupanti si riversano in strada e piantano le tende nel cuore di Milano. Cinque giorni di assemblee per decidere dove e se agire, e la scelta cade su Palazzo Citterio: un edificio pubblico del ’700 inutilizzato da 40 anni, interessato dal progetto di rilancio museale “Grande Brera”. Il 19 maggio entrano al Citterio ma anche questo tentativo va male e all’alba del 22 arriva un altro sgombero. Da quel giorno Macao è in silenzio stampa: sito e pagina facebook sono ferme e nessuno rilascia dichiarazioni. Ma per left fanno un’eccezione. Andrea ci spiega: «Abbiamo fatto tre occupazioni in quindici giorni. Adesso sentiamo il bisogno di fare silenzio per ritrovarci e programmare le nostre prossime azioni». Il Macao non molla. «Siamo professionisti e sappiamo di rappresentare uno dei motori propulsori dell’economia di questo Paese», conclude Andrea. «Non ci vogliamo frapporre allo sviluppo e alla progettualità del territorio, ma vogliamo fare la nostra parte».

La rete europea. Il contagio valica i confini italiani. Da Atene a Francoforte si lavora alla costruzione di Eros, una rete europea di arte e attivismo. Si parte il 2 e 3 giugno al Valle occupato con il festival Transeuropa. Due giornate organizzate dall’associazione transnazionale European alternative: «Un evento culturale, politico e artistico che coinvolge 14 città europee», spiega Lorenzo del nodo italiano. «Vogliamo creare uno spazio pubblico e aperto per un’Europa alternativa».