Giovedì 27 settembre 2012
lavoratori dello spettacolo e studenti hanno liberato e aperto il Teatro Rossi di Pisa
Il contagio non s’arresta!

COSA PUÒ IL TEATRO ROSSI APERTO

Quanto è magico entrare in un teatro e vedere spegnersi le luci.
Non so perché. C’è un silenzio profondo, ed ecco che il sipario inizia ad aprirsi.
Forse è rosso. Ed entri in un altro mondo. David Lynch

Teatro Ernesto Rossi di Pisa, 27 Settembre 2012: forse non c’è bisogno neppure di un sipario che inizia ad aprirsi per entrare in un mondo altro. Partiamo da luci spente in assenza di elettricità, anni di polvere depositata sulle assi di legno, piccioni che svolazzano sopra un palcoscenico abbandonato. All’interno di un luogo magico trascurato, dimenticato e lasciato all’incuria, ci ritroviamo per farlo vivere di nuovo, permettendo alle energie presenti in città, che non vogliono più disperdersi, di rivelare tutto il loro potenziale. Pisa è un territorio di scambi, incroci e contaminazioni, non una cartolina, perfetta e priva di vita. Un angolo di questa piazza, immobile e silenzioso dopo il tramonto del sole, può sperimentare forme di incontro tra cittadini e cittadine, lavoratori e lavoratrici, studentesse e studenti, giovani, anziani e bambini. Chiunque abbia voglia può far risuonare la propria voce dentro le sale di un teatro costretto ad un lungo, inesorabile ed inspiegabile silenzio. Il Teatro Rossi da anni non parla, sbarrato e invisibile di fronte allo sguardo indifferente delle aule universitarie che ne scrutano l’ingresso. Al Rossi non è concesso di parlare, perché dietro la patina superficiale dei grandi eventi culturali, le istituzioni cittadine si sono dimenticate del valore antichissimo dei suoi spazi, dove le persone possono conoscere e conoscersi, innescando processi di creatività che nascano dalla condivisione. Al Rossi da anni non si può parlare, perché un edificio settecentesco che appartiene a tutte e tutti noi è stato reso chiuso, impenetrabile, grigio. Oggi, al posto del sipario, abbiamo aperto porte e finestre: al Rossi devono poter entrare luce, aria, voci, corpi, rumori, sedie, musica, chiacchiere, discussioni, dialoghi recitati, assemblee, idee e iniziative. Al Rossi devono poter entrare tutte le persone quelle che sanno vedere in un teatro un bene comune da costruire insieme, uno spazio da riempire ogni giorno. Lavoriamo sull’immateriale, nello spettacolo come nell’università, oltre un’asfissiante logica produttivista. Viviamo la precarietà che ci viene imposta stabilendo contatti e tessendo reti che ci liberino dalla retorica individualista della guerra tra poveri. Vi invitiamo a riconoscere quel che ci accomuna, dimenticando ogni sterile corporativismo e ogni frammentazione dei saperi; è arrivato il tempo di rischiare, mettendo in dubbio le certezze consolidate per scoprire dietro l’angolo qualcosa di nuovo. Non miriamo a qualcosa di già visto, non abbiamo nessuno da imitare, esitiamo a darci un nome perché non ci interessano definizioni e confini stabiliti: il teatro non ne ha, muta con il tempo e nel tempo subisce radicali rivoluzioni grazie alle passioni che scorrono dietro la scena. Il Rossi non avrà bisogno di sipari, luci e silenzi come li conosciamo. Sarà una piazza, crocevia di incontri quotidiani, spazio fisico e non attraversato da donne e uomini pronti a immaginare, discutere, scrivere, ballare, suonare e recitare. Ci penseremo tutti noi, a renderlo un mondo altro.

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“Il teatro non c’è più, manca la rappresentazione, è assente la normalità sociale del fare finta.
La grande macchina per vedere è cieca, e ci rimanda solo la presenza del nostro sguardo, cioè del fuoco della macchina fotografica.
Il teatro è qui uno specchio nero, il suo fascino è quello della disponibilità. Ciò che è, è per essere visto, e quindi in definitiva non è.
Il teatro è vuoto”.
(U. Volli, “Teatro e fotografia…”, in Il Teatro Abbandonato, Firenze: La Casa Usher, 1985)

Dallo scorso giugno, un’ondata di occupazioni di teatri ha investito l’Italia intera: si è tentato di metterne in pratica una gestione dal basso e partecipata per restituire alla cittadinanza qualcosa che gli appartiene.
Oggi noi, studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, abbiamo deciso di riaprire e liberare dalla polvere e dal silenzio il teatro “Ernesto Rossi”, perché siamo stanchi di essere  soggetti precari,  categorie  non riconosciute e non tutelate, persone che giorno dopo giorno vedono il loro presente sempre più immiserito e il loro  futuro sempre più in pericolo.
Siamo  stanchi di assistere ogni giorno a nuove forme di prepotenza della classe dirigente, alla cristallizzazione dell’attuale situazione politica e sociale, alla mancanza di finanziamenti a quello che consideriamo uno dei beni più preziosi: la cultura. Siamo stanchi di sottostare a trend  stagionali per elemosinare reddito, di cedere all’umiliante  ricatto dei favoritismi, delle clientele, delle privatizzazioni.
Ma non siamo rassegnati.

Siamo qui per affermare con forza che contro e oltre la crisi che attraversa il paese, ci sono energie e persone in continuo movimento, pronte a mettersi costantemente in discussione, immaginando e sperimentando nuovi linguaggi artistici, nuove strategie comunicative, nuove  forme di aggregazione sociale.
Vogliamo mettere in pratica una gestione dal basso e orizzontale di uno dei più bei teatri del territorio per provocare una frattura nello stato di cose esistenti : impadronirci di  tempi di vita  liberi e liberati dai diktat del precariato, dalle leggi spietate del mercato del lavoro. Un luogo, fisico e non, dove l’errore e il desiderio siano considerati possibilità virtuose e fertili di un percorso sempre aperto.
Come a Palermo, a Catania, a Napoli, a Roma, a Ostia, fino a Venezia e Milano, abbiamo deciso di compiere un atto desiderante e un gesto di riappropriazione: Aprire il Teatro Rossi, bene comune della nostra città, abbandonato altrimenti al lento degrado.
Un teatro che si trova in un luogo non trascurabile della città: davanti a Palazzo Ricci, sede della ormai ex facoltà di Lettere e Filosofia; di fianco a Piazza Carrara, piazza parcheggio come vorrebbero trasformare tante piazze e tanti palazzi a Pisa; e confinante con Piazza Dante, cuore della vita universitaria di giorno, luogo di abbandono al buio la notte.

Sappiamo bene in quale tessuto sociale ci stiamo muovendo.
Contrastiamo le politiche comunali che cercano di rendere  Pisa passatempo usa-e-getta dei turisti della domenica, lontana dai desideri di cittadini, studenti, migranti che la attraversano e riempiono ogni giorno. Politiche che hanno preferito con i PIUS, grande evento di ristrutturazione della città, spendere milioni di euro in telecamere inutili, ma neanche un centesimo per la riapertura di luoghi storici e artistici chiusi da anni come il Teatro Rossi.
Rifiutiamo la logica dei grandi eventi, che trasformano la cultura in strumento di propaganda e lasciano solo vuoto, oltre la patina luccicante ed effimera di una città-vetrina.
Andiamo oltre, cercando spazi dove la produzione immateriale provenga dalla condivisione reale, larga di idee e pratiche.

Vogliamo ripartire dal teatro, simbolo della primavera di una rivoluzione culturale che speriamo sia solo agli inizi, espressione  della necessità di approcciarsi al sapere in modo diverso, non cattedratico, non gerarchico, non neutro. Siamo partigiani di una concezione della conoscenza che si sappia dare oltre e contro le mura chiuse di università, accademie o teatri morti, resi deserti e silenziosi da lezioni inutili, cartelloni tutti uguali.
Oggi rivendichiamo il fatto che la cultura sia un bene comune e come tale vada costruito e difeso da tutti, senza deleghe, senza rappresentanti, senza ingerenze della politica istituzionale.
Apriamo, così, non solo un luogo fisico, ma anche un orizzonte mentale, uno spazio di discussione aperto a tutt* in cui si possa affermare il potere costituente del noi: un’agorà dove incontrarci e  poterci ritrovare come membri di una comunità.
Diamo il via ad un laboratorio di idee, una cantiere sempre in movimento dove la parola d’ordine sarà “contaminazione”. Contaminazione tra le arti, contaminazione tra i pensieri, contaminazione tra le persone. Questa è la nostra natura: siamo un movimento in divenire, dinamico, aperto, attento ai bisogni e ai desideri di chi vive Pisa.

Con questo gesto, riprendiamoci  tutt* insieme la libertà di dire che le cose devono essere cambiate qui e adesso, che la lotta non si delega agli eroi, che abbiamo voglia e energie per discutere e ridiscutere tutto, inventando un altro modo di stare insieme, di creare, di (r)esistere…