Solo nei giorni scorsi, senza contare la costante e fitta attività culturale degli ultimi mesi, l’Ex Asilo Filangieri è stato attraversato contemporaneamente da centinaia di cittadini per la rassegna estiva di cinema all’aperto, per il Forum Sociale Urbano, per il Digifest, per le prove di diverse compagnie teatrali, per il bookcrossing e per la sala studio abitata fino a tarda sera: spazi e attività organizzati attraverso una pratica di autogestione avviata dal Collettivo La Balena dal 2 marzo 2012. Un esempio concreto di come può funzionare una gestione “altra” di uno spazio pubblico dedicato all’arte e alla cultura attraverso un “uso civico di un bene comune” da parte di una comunità di lavoratori (art. 43 Cost.), in questo caso lavoratori dell’immateriale, proposto dal collettivo e riconosciuto nella delibera del Comune di Napoli del 25 maggio 2012.
Non un’assegnazione dello spazio (che rimane invece nella titolarità del Comune) a un soggetto fisso e determinato, ma a tutti quei soggetti (singoli lavoratori, gruppi, associazioni, cooperative ecc.) che agiscono professionalmente nei campi del lavoro immateriale, che quando hanno bisogno di fruire di quello spazio e di condividerne i mezzi di produzione di cui si sta dotando, si auto organizzano in maniera partecipata attraverso l’incontro e il confronto in una pubblica assemblea, così come avviene ogni settimana da sei mesi. Il collettivo La Balena non è né si comporta da proprietario, è consapevole di questa dimensione pubblica ma si fa carico momentaneamente della cura di questo processo sperimentale.

Ciò che intendiamo fugare con forza è l’assunto in base al quale è un solo collettivo, La Balena, a determinare un processo politico e a gestire l’intera vita dell’Ex Asilo Filangieri.
Se così fosse, infatti, ci si ritroverebbe in quella penosa contraddizione in base alla quale sarebbe soltanto un soggetto determinato – il collettivo, per l’appunto – ad essere investito del potere decisionale inerente l’intero Ex Asilo Filangieri, ricadendo in quella logica para-proprietaria che, invece, si contesta radicalmente.
L’intero ciclo vitale dell’Ex Asilo, infatti, dall’indirizzo politico generale fino alla programmazione artistica e culturale – nonché il tipo di rapporto impostato con le istituzioni cittadine – è determinato da una collettività di persone; collettività attraversata dal collettivo La Balena e al contempo ampiamente trascendente quest’ultimo.
Legandosi fisicamente con un luogo si sono strutturate, in questi sei mesi, una gamma di relazioni che è necessario comprendere nella loro essenza e nella loro prassi quotidiana – relazioni non identificabili semplicisticamente con l’azione iniziale, sia pure d’avvio conflittuale, di un collettivo.
La differenza tra il ruolo di un collettivo e la progressiva formazione di una collettività, sia pure all’esterno difficilmente percepibile – non solo per cattiva coscienza – è invece essenziale e dirimente, e inerisce il tipo di processo politico voluto fin dall’inizio.
Un processo politico aperto, plurale, eterogeneo; un processo di soggettivazione politica permeabile in tutti i suoi punti, non costituito ex ante e cristallizzato in una identità unica, determinata, escludente, ma in via di costituzione perenne e di perenne attraversamento.
Si potrebbe affermare che La Balena non determina il processo ma, al massimo, ne è determinata, confusa e quasi indistinguibile nel ventre dell’Ex Asilo Filangieri.

Diventa, a questo punto, fondamentale affrontare il tema della legittimazione politica.
E’ legittimo che una collettività di individui si appropri di fatto di un bene di proprietà pubblica, sia pure sede di un grande evento finalizzato all’ennesimo carrozzone clientelare? E’ legittimo che questa collettività intrattenga, con le istituzioni cittadine, un rapporto finalizzato al riconoscimento dell’uso e della gestione di quel bene da parte della collettività stessa? Alziamo il tiro: perché alcune associazioni dovrebbero rinunciare a chiedere legalmente uno spazio dell’Ex Asilo alle istituzioni per relazionarsi, invece, con la collettività che lo attraversa?
Iniziamo, dunque, dallo specificare un dato storico: soltanto dal momento in cui la collettività di occupanti ha “preso in gestione” l’ex Asilo Filangieri questo è diventato parte della città, suo elemento riconoscibile. Da complesso di stanze semi-vuote e polverose, inutilizzate, è diventato vita pulsante di relazioni, incontri, spettacoli, concerti, seminari, assemblee; è diventato il luogo di riferimento di una comunità aperta.
Sia chiaro, però, che non è  soltanto una questione di numeri, non sono “soltanto” le migliaia di persone che l’hanno attraversato e lo attraversano a rendere legittimo questo percorso politico: il punto che intendiamo affermare è che l’idea stessa che siano i cittadini a gestire direttamente e senza mediazioni istituzionali il bene che vivono e che è parte del loro territorio è politicamente legittima e si legittima costantemente nella prassi.
In questa frattura aperta dall’occupazione iniziale, elemento per sua natura conflittuale, ci si è posti fin dall’inizio il problema della possibilità di esprimere una sia pur minima forza costituente e di darsi le proprie istituzioni.
Naturalmente non affermarsi come mera contro-istituzione rispetto a quelle rappresentative esistenti (cosa allo stato dell’arte irrealizzabile, a meno di non volere ingaggiare una battaglia perdente contro un Moloch), ma aprire alla possibilità che la collettività si dia le sue proprie regole, diventi essa stessa istituzione popolare diffusa che, attraverso una regolare assemblea radicalmente democratica e aperta, gestisce l’ex Asilo Filangieri.
Del resto, il definirsi come collettività e non solo come collettivo/soggetto determinato rimanda essenzialmente a questo, ossia alla possibilità che quel precedente giuridico sia valido soprattutto per quelli che verranno dopo, che l’ex Asilo Filangieri sia stabilmente gestito da cittadine e cittadini e non diventi merce di scambi clientelari o mero elemento di profitto nella crisi economica.
Inoltre, volendo alzare gli occhi al cielo, attraversiamo una fase storica in cui la governance neo-liberale della crisi economica – ça va sans dire, da questa provocata – impone un drastico taglio di risorse economiche, di spazi sociali, di welfare, nonché una generale sottrazione di sovranità popolare a beneficio dei mercati finanziari globali, i veri decisori politici.
Diventa secondo noi un dovere, in questa fase storica, affermare un nuovo mutualismo, che parta dal lavoro politico di ricomposizione di quella panoplia di lavoratori e precari riuniti nel c.d. quinto stato; al contempo, riteniamo che sia fondamentale ristrutturare una nuova sovranità popolare che si affermi a partire dai luoghi più vicini ai cittadini e ai lavoratori e dia a questi la possibilità di decidere politicamente sulle tante risorse dei loro territori.
Siamo vicini, in questo senso, a tutto le esperienze cittadine e nazionali di occupazione, e lavoriamo in sinergia con queste.

Dario Fo, in merito allo sgombero di Macao dalla Torre Galfa, di proprietà del faccendiere Ligresti e vuota da ben quindici anni, ha usato una metafora efficace: “è come se un povero – ha detto Fo – si fosse appropriato di un pezzo di pane abbandonato da un ricco e quest’ultimo avesse chiamato la polizia per riprenderselo”.
Noi intendiamo continuare la metafora, immaginando che quel povero, insieme ad una moltitudine di altri poveri, si sia ripreso quel pezzo di pane.
Poi, non sazi, insieme se ne siano ripreso un altro, poi un altro, e un altro ancora…